12 anni di sperimentazioni
Avrei voluto scrivere un post critico sulla gamification (lo farò), ma ieri Maieutical Labs ha compiuto 12 anni e io mi sono trovatə, davvero per caso, a presentare il nostro lavoro a una giuria che doveva valutarlo per i GESA (Global Edtech Startup Awards) e invece di fare quello che avrei dovuto fare, quello che tutti hanno fatto, cioè un bellissimo pitch di tre minuti con un sacco di schermate che coprissero in maniera sistematica le caratteristiche del prodotto, le revenue, il team, la retention, il churn rate, la marketing strategy, le selling lines e il resto, ho fatto dei disegni a mano libera, li ho fotografati e li ho schiacciati in un pdf e poi ho usato quella sequenza per raccontare (un pezzo di) una storia. Volevo proprio solo provare a raccontare la storia da un altro punto di vista e giustamente la giuria ha preferito l’altro tipo di presentazione (anche se credo che a fare la differenza non sia stata veramente la presentazione ma più il fatto che ci ostiniamo a dire che ci vuole tempo e che per noi ha senso essere forti in Italia prima di pensare all’estero).
Adesso sono nella Piazza Grande di Modena e c’è questo duo che suona viola e chitarrina e a causa dell’esperienza di ieri ho iniziato a pensare (se frequenti questo spazio da abbastanza tempo sai che sono una persona lenta) alla sperimentazione. Proprio all’idea di sperimentazione. Perché in fondo quello che ho fatto ieri era un esperimento: provare a mostrare qualcosa di completamente diverso da quello di tutti gli altri e vedere che succedeva (risultato: domande sulle metriche, sull’internazionalizzazione, sulla disponibilità di vendere i nostri dati per capire se come azienda eravamo presentabili in una piazza internazionale).
La sperimentazione ha alcune caratteristiche specifiche.
Quando sperimenti puoi fallire (e, per questo, sarò sempre gratə a coloro che hanno creduto nel nostro lavoro e ne sono statɛ portavoce all’inizio della vita di MLs: Gianfranco Desimone in FGA, Milena Lant e Sandro Invidia in Loescher).
Però il fallimento di chi sperimenta non è un fallimento qualsiasi, non è il fallimento che dipende dalla decisione di usare solo auto Bugatti per la flotta del reparto commerciale. È un fallimento che dipende dal fatto che stai esplorando una terra incognita (e, per questo, devo rendere onore a tutti i nostri investitori, ma devo riconoscere coraggio anche a tutti coloro a cui abbiamo chiesto soldi, che non ce li hanno dati ma poi li hanno dati ad aziende che secondo noi, che i nostri clienti li conosciamo, non potevano che fallire: è esattamente il fatto che stiano mettendo risorse in una scatola nera che non conoscono che li rende coraggiosi, e capisco perché preferiscono tenersi stretti gli indicatori dei loro pitch piuttosto che affidarsi ai miei sgorbi da wannabe-artist: è come dire “vabbé, mi addentro nella giunga, ma almeno mi porto la mia torcia”).
E, per continuare con le caratteristiche dell’esplorazione, come ci insegna la storia altre due specificità delle terrae incognitae sono: (a) le condizioni dell’esplorazione non sono comprese dalla generalità delle persone (e se non sono comprese le condizioni, anche le scelte di chi fa l’esperimento possono sembrare irragionevoli); (b) ciò che si riporta indietro dalle esplorazioni modifica le abitudini a chi è restatə a casa (qui si potrebbe discutere, il framework generale è che di quel che è stato portato qui dall’esplorazione delle Americhe, più trasformative dell’oro, della patata e del pomidoro sono state cose come consapevolezza che lì c’erano altre persone che vivevano in modi diversi da quelli degli europei dell’epoca, puoi leggere L’alba di tutto per avere un’idea di quel che intendo).
E a questo punto è necessario definire meglio il concetto di modificare le abitudini, perché di qualsiasi cosa si può dire che modifichi le abitudini: in qualche misura anche il passaggio dalla lira all’euro ha modificato qualche abitudine, e questo è il mio esempio di un cambiamento che ha modificato meno abitudini in assoluto. Diciamo che, per me e ai fini di questo post, quando parlo di modificare le abitudini non mi riferisco a chi smette di prendere la macchina per usare i mezzi pubblici (che pure cambia un mucchio di abitudini) ma a chi inizia a fare smart working (che cambia la prospettiva sulla vita lavorativa).
Chiamerò le innovazioni (à la Schumpeter) del primo tipo: “tipo 1” e quelli del secondo… vedi se indovini… “tipo 2”.
La presenza di un mercato
AirBnB, per citare un servizio che per i suoi risultati è al di là di qualsiasi critica, è un cambiamento di tipo 1 o 2? La gente già prima prenotava stanze online e la gente già prima affittava stanze (anche se non online, o non sempre), direi tipo 1. In questo senso AirBnB non ha sperimentato qualcosa di nuovo ma messo insieme in maniera innovativa modi e fini che erano già sulla piazza. Se ci pensi, il processo da cliente di AirBnB non è diverso da quello di cliente di qualsiasi altro Bed and Breakfast. C’è più gente che può mettere a disposizione i proprio spazi, ma anche questa gente fa quello che farebbero le persone che lavorano in un Bed and Breakfast: AirBnB non ha lavorato sui contenuti del turismo, ha lavorato sul suo marketing. Non dico queste cose per squalificarli, al contrario: è una forma di competenza e una abilità che mi piacerebbe possedere.
Uber, per citare un altro servizio che ha sottratto il monopolio di certe operazioni a macro strutture preesistenti, ha comportato un cambiamento di tipo 1 o 2? Ancora di tipo 1: coloro che chiedono od offrono i servizi di Uber non stanno facendo qualcosa di diverso da quel che farebbero se chiedessero od offrissero i servizi di una società di tassì.
Paypal e Robin Hood fanno la stessa cosa: sottraggono a macrostrutture preesistenti (le case d’asta e le banche) delle funzionalità (aste e investimenti) per metterle in mano agli e alle end-users. Hanno visto una necessità che già c’era, perché già esisteva un mercato che esprimeva quel tipo di necessità, e hanno trovato il modo per soddisfarla.
Ora, se esiste un software, esiste sempre la necessità che l’ha generata altrimenti nessuno quel software l’avrebbe mei pensato, la differenza, dunque, è tra chi crea innovazione ma ha già un mercato in cui muoversi (Spotify) e chi crea innovazione senza un mercato in cui muoversi (Napsters).
L’avere o meno un mercato non ha nulla a che fare con l’approcciarlo nel modo giusto oppure no: Google e Yahoo hanno visto la stessa esigenza e hanno pensato di soddisfarla in due modi diversi ma entrambe hanno sperimentato.
Da dodici anni il tipo 2
Da dodici anni (e un giorno) Maieutical Labs sperimenta, ovvero si aggira in un mercato che è una terra incognita o, per meglio dire, creandosi giorno per giorno il suo mercato.
Già, perché esiste un mercato dei libri scolastici, ed esiste un mercato dei software scolastici non didattici (come i registri elettronici o i software amministrativi che aiutano a creare gli orari delle lezioni) ma non esiste un mercato dei software scolastici didattici.
Le famiglie non sono abituate a pagare per i software scolastici.
Le case editrici non sono abituate a far pagare per i software (li regalano con i loro libri).
Docenti e studenti non sono abituati a usare dei software didattici. Cioè a far contaminare le loro pratiche con la didattica che i software implicano perché i software agnostici rispetto alla didattica, che non devono modificare le abitudini (e non possono essere modificati o modificabili dalle abitudini dei e delle loro utenti) perché non devono distrarre da ciò in funzione di cui esistono: i libri di testo.
La Scuola non è abituata a pensare all’uso di software per la didattica ed entrare nelle scuole è difficilissimo: parlane con le altre aziende che offrono lo stesso tipo di prodotto che offriamo noi (boh, il nostro concorrente sul latino Sirius Games, i tipi di Pinxit che offrono pacchetti scolastici centrati sull’arte). Parlane con l’unico editore in Italia che ha un comparto dedicato specificatamente alla vendita dei prodotti digitali e che nonostante tutto fattura meno di un terzo di quello che fatturiamo noi in quel segmento di mercato.
E allora?
E allora niente: sono felice di quello che stiamo facendo, anche se non bastano mai i soldi per fare tutto quello che vorremmo, anche se a volte è sconfortante considerare quanto poco venga valutata l’istruzione in Italia, quante cose vadano male, secondo me alla fine dimostreremo di aver sempre avuto ragione noi, che sperimentiamo.