Adolescenti con superpoteri

ovvero: del perché amo così tanto i fumetti

Adri Allora
4 min readJul 4, 2023

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Entrambi questi libri li avevo conosciuti prima di iniziare a leggerli: quello con la diciassettenne (a sinistra nell’immagine in alto) per la messe di premi e lodi che ne avevo sentito in giro, quello con la quindicenne perché ne avevo visto e apprezzato la miniserie su Netflix. È altresì vero che sono fumetti che ho incontrato insieme per caso, durante una visita per-altri-motivi alla biblioteca di Chivasso (TO) e che ho messo insieme in questo post perché stavano bene sotto lo stesso titolo, e perché insieme hanno sollecitato una riflessione sulla potenza del medium fumetto.

Eccoli, i superpoteri. Tutto qui? Più o meno.

Accarezzare con gli occhi la grafica di I’m not ok with this, sospesa ta il fumetto indie à la Chris Ware e Diario di una Schiappa, fin dal primo momento dichiara che l’esperienza non sarà come te la aspetti. Se aggiungi il frammentato flusso di coscienza nella didascalia sopra e gli eventi che scorrono nelle vignette sotto quella dichiarazione ha il sapore di una programmaticità che però viene totalmente sconfessata dalla storia, semplice e potente.

Il personaggio del fratellino mi era piaciuto già nella serie.

Il libro si sarebbe limitato a svolgere il suo sporco lavoro (regalarmi quaranta minuti di soddisfazione) se non fosse intervenuta la serie. Già, perché il confronto tra i due prodotti per me ha significato una piccola deflagrazione. Qualcosa di simile a quanto provato quando, dopo aver visto il film, ho letto il racconto di Ted Chiang che ha ispirato The Arrival. Intendiamoci, non siamo più nell’epoca in cui a prescindere “era meglio il libro”: all’epoca mi aveva stupito il fatto che nel racconto non ci fossero attentati terroristici, alcuni personaggi e, soprattutto, le astronavi. Esatto, quelle gigantesche astronavi che vedi fin dalla locandina.

Non sto formulando un giudizio su “quel che le produzioni si aspettano che vogliamo vedere sullo schermo”, forse se non siamo più nell’epoca in cui a prescindere “era meglio il libro” è grazie a persone che hanno saputo prendere decisioni di questo tipo. Forse. E forse no ma, come detto, non è di questo che sto parlando.

Il punto è che nel fumetto di una quindicenne con superpoteri che non sa gestire, totalmente estranea a una logica supereroistica, il racconto della vita di questa adolescente basta a reggere la storia. Non c’è bisogno di altri segreti, di misteri, di congiure, di supercattivi. Non c’è bisogno della possibilità di un seguito, che il fumetto esclude in maniera perentoria.

Ma non ti dico come.

Forse perché l’investimento richiede che le prospettive di guadagno vadano al di là della singola stagione? Non lo so, in realtà non mi interessa neppure, il punto è che pur avendo apprezzato la serie, ho adorato il fumetto, intimo e viscerale.

Monstress parte con tutt’altre ambizioni: è chiaramente una saga fantasy con tantissimi personaggi, divinità, razze, drammi planetari e sofferenze non primariamente esistenziali. Le autrici intessono con meticolosità l’arazzo delle azioni e controazioni che definiscono i rapporti tra uomini e donne (ma soprattutto donne) a vari livelli di potere appiattiti in alto: trattandosi di superpoteri veleggiamo più verso i lidi della divinità che quelli della normalità (il che è un sollievo visto che negli universi finzionali in cui esistono i superpoteri le persone normali non possono essere che vittime).

L’elemento più riconoscibile di quest’opera è una grafica sontuosa che mette insieme i manhua tipo Solar Lord e orrori cosmici che, senza un vero motivo, hanno evocato nella mia immaginazione sia Kiseiju che Berserk (ma anche un po’ Nausicaa della Valle del Vento).

Anche se quell’occhio verticale tipo vulva è meno inquietante e alieno di quanto ci si potrebbe aspettare.

Leggendo il primo volume di Monstress subito dopo I’m not ok with this (e pensando alla serie Netflix e al film che ha rivelato il talento di Denis Villeneuve) ho di nuovo riflettuto su “quel che la gente si aspetta” e “quel che serve perché un fumetto possa fare il suo lavoro”: si tratta invero di fumetti agli estremi sia sostanziali che formali: tanto è ricco uno (parole, immagini, pagine, colori, eventi) quanto l’altro è minimale.

E allora mi sono chiestǝ se quel minimalismo sarebbe possibile in una serie o un film e ho percorso con la mia zoppicante memoria tutti quelli che ricordavo e no, non è possibile o, se è possibile, non è dato. Nel momento in cui racconti di supereroi e supereroine anche fuori dai canoni DC e Marvel, non puoi ignorare certi aspetti, come una certa quantità di conflitto, e di effetti speciali, e di traumi. Altrimenti? Noia? Recensioni negative? Mancati guadagni? Non lo so. Ma il fatto che invece si possa farlo con risultati di questo livello nel fumetto è uno dei motivi per cui i fumetti mi piacciono così tanto.

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Adri Allora

Linguist, entrepreneur (co-founder of Maieutical Labs), curious. I’m here on Medium mostly to learn, even when I write something.