Adultsplaining
Ero in macchina col figlio maggiore (18 anni) e in due occasioni mi è capitato che dicesse “guarda che lo so”. “Scusa”, la risposta, ovvia, ma poi c’è stato un piccolo cortocircuito e gli ho domandato: “tu sai cos’è il mansplaining?”
Non lo sapeva. Gli ho raccontato la storia di Rebecca Solnit che, ragionando sul fatto che gli uomini le spiegavano le cose che lei sapeva benissimo, ha scritto il libro che ci ha mostrato (e spiegato) una forma di prevaricazione sessista economica da realizzare, pervasiva e molto efficace nel minare l’autostima delle altre persone.
E ho capito che le origini del mio spiegare a mio figlio cose che lui sapeva già sono le stesse del mansplaining anche se gli effetti sono diversi (essendo lui un tardoadolescente probabilmente pensa solo che io sia unǝ vecchiǝ noiosǝ). È sempre una forma di sottostima delle altre persone, è sempre una forma di prevaricazione.
Io ho già avuto diciotto anni, o sette o quindici? Ovviamente. Ma li ho avuti 29, 40 o 32 anni fa. Il mondo è cambiato tanto da allora ed è ragionevole supporre che il modo in cui si hanno 18, 7 o 15 anni oggi è diverso da come fosse allora. Certe cose rimangono? Sì, ma il loro grado di verità forse non è più lo stesso, forse non lo era neppure allora anche se a posteriori l’ho giudiocato tale.
Ho pensato che per unǝ che, come me, sostiene il diritto di voto ai tredici anni, non è un bel modo di fare. Quindi mi impegnerò a mettere in atto tutte le strategie che provo a mettere in atto* adesso quando parlo con adulti e adulte e adultɛ: chiedo se già conoscono quel che starei per spiegare, cerco di modulare e ascolto prima.
Tutto sommato, potrebbe essere un piccolo passo per rendere il mondo (almeno quello circostante) un posto migliore.