Mi serviva una copertina facile facile. Buona lettura!

Archeologia narrativa (in italiano!)

Adri Allora

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Uploading consciousness

Una doverosa (e dolorosa) premessa

Questo post di archeologia narrativa (un giochino che faccio quando posso in cui cerco di ricostruire la prima apparizione di certe idee fighe nella narrativa) lo scrivo in italiano, semplicemente perché sono troppo stanco.

Ma era tanto tempo che volevo finire e pubblicare questo pezzo, quindi ti tocca. Anche in italiano.

Un po’ come quando la mattina ti svegli

Secondo Ray Kurtzweil, director of engineering presso Google, gli esseri umani saranno in grado di uploadare il loro intero cervello su computer e diventare digitalmente immortali entro il 2045. La previsione è fatta facendo combaciare il numero di dati contenuti nel cervello e le previsioni di sviluppo della capacità delle memorie artificiali, pura matematica, eppure l’idea è intrigante, no?

No, forse no, non so.

I puntini sulle i

Ma prima di andare avanti è il momento di una doverosa distinzione: uploadare la coscienza non significa ciberspazio. Oddio, il ciberspazio potrebbe essere una condizione necessaria ma non sufficiente per uploadare la coscienza (non lo è in almeno tre casi che non so se rientrano veramente sotto la definizione “digitalizzare la coscienza”: i borg di Star Trek; la protomolecola della serie di libri di James S.A.Corey iniziata nel 2011 con Leviathan — il risveglio e i cristalli che catturano le coscienze in Eden, di Hiroki Endo, 1998 (una serie iniziata molto, molto bene e che poi secondo me si è un po’ persa, come non è in solito succedere nel mondo dei manga)).

Il punto è che io potrei uploadare la mia coscienza su un 486 ben carrozzato in quando a dischi rigidi (e un mucchio di gente non noterebbe la differenza rispetto all’originale a base di carbonio) a prescindere dalla rete e non solo: scendere giù nel ciberspazio non implica una digitalizzazione della coscienza, in fondo il ciberspazio è una

allucinazione vissuta consensualmente ogni giorno da miliardi di operatori legali, in ogni nazione, da bambini a cui vengono insegnati i concetti matematici

(così in Neuromante, il seminale romanzo di William Gibson del 1984, anche se il termina appare per la prima volta due anni prima nel racconto Burning Chrome). Quindi ecco, in questa sessione di archeologia narrativa sfiorerò l’idea di ciberspazio ma non la tratterò direttamente (ma se vi interessa l’argomento, potete leggerne qui!)

Entriamo nel merito della questione

L’idea dell’upload di coscienza ha radici profonde nel campo dell’immaginazione ed è molto produttiva: a chiunque, senza pensarci molto, verrà in mente qualche titolo. Giusto per fare qualche esempio, ecco quelli che vengono in mente a me (vado indietro veloce e ne salto uno sbanderno):

  • la serie Amazon Upload (2020) creata da Greg Daniels, Robbie Amell e Andy Allo;
  • il film Trascendence in cui si vede per la prima volta quanto diventerà brutto Johnny Depp, (2014) diretto da Wally Pfister;
  • l’ammiccante manga Ex-arm (2012) di HiRock e Shinya Komi (remake di un altro manga dell’anno prima, però uno capisce anche: di mutandine ostentate c’è sempre bisogno);
  • il film di Duncan Jones Source Code (2011)(ma, ok, lo ammetto, Jones è entrato nel mio cuore con Moon e non ne uscirà mai più, quindi forse non sono oggettivo, oltretutto qui c’è pure quel figo di Jake Gwin… Gwinlell. Vabbé, non so scriverlo);
  • i romanzi e la serie Altered Carbon di Richard Morgan (il primo romanzo, Bay City, è del 2002, ma guarda che se anche hai visto la serie vale la pena di leggere i romanzi perché sono piuttosto diversi);
  • il disturbante anime Serial Experiment Lain di Yasuyuki Ueda e Yoshitoshi ABe (1998), che quando l’hai visto per la prima volta ti ha fatto pensare: “no, vabbè, mi sa che mi sono distratto e ho perso dei pezzi… ma perché sono così angosciato se non ci ho capito una mazza?”;
  • il visionario e potentissimo e anche formalmente spiazzante Folli di Pat Cadigan del 1992;
Questo libro ha da essere letto.
  • Tron, il film del 1982 diretto da Steven Lisberger (non solo il primo film a parlare di realtà virtuale, ma anche il primo a parlare di digitalizzazione non consensuale di una persona, vito che il Master Control Program digitalizza Kevin senza che lui abbia detto “sì”).

E non so se ci stanno dentro anche i mod della trilogia del Budayeen (e chiunque mi conosce sa quanto io apprezzi la serie di George Alec Effinger: il primo romanzo, When gravity fails, è del 1987) perché sono più che altro coscienze finte che puoi metterti nel cervello, ma se non è proprio quello ci siamo vicini.

Allora, niente di più vecchio del 1982?

Eh, mica facile. Ma non impossibile.

Cercando ho scoperto un racconto del 1995 che si intitola Imparare a essere me del mitico Greg Egan, in cui in un futuro non troppo lontano gli esseri umani si dotano di un impianto cerebrale che consente loro di registrare tutte le proprie esperienze. Non è un reperto precedente al 1982 ma è una cosa interessante, anche considerando che si tratta di un testo di uno dei miei autori hard-sci-fi preferiti.

Non male, ma ora (siamo nel 1969) dobbiamo confrontarci con il genio di Philip Dick: Ubik, fra le cui pagine i morti ritornano a vivere o, meglio, le loro coscienze possono esser risvegliate di tanto in tanto per recare conforto ai cari sopravvissuti: non so se la definirei digitalizzazione (con Dick le cose si fanno spesso più tendenti al wetware e al lisergico), ma ci siamo capiti (e soprattutto la fine angosciante e struggente ci ributta con violenza nel campo delle realtà finzionali e delle coscienze mediate dalle macchine).

Facciamo un altro passo indietro: in Simulacron 3, il romanzo di Daniel F. Galouye del 1964, il/un mondo viene ricostruito digitalmente per farne analisi di mercato commerciali e politiche (hoy, siamo in area-facebook, non trovi anche tu?). In teoria i protagonisti, e in particolare il povero Douglas Hall, entrano in quel mondo come potrebbero fare cibernauti à la Sterling, eppure, qualcosa che non voglio anticiparti fa proprio pensare a coscienze digitali (e se non hai voglia di leggerti il vecchio romanzo, ristampato non troppo tempo fa da Urania, puoi scegliere tra tre, e dico TRE, adattamenti cinematografici, il migliore dei quali per me resta Il tredicesimo piano, del 1998, diretto da Josef Rusnak).

Siamo già al 1964, non male, no? Sembra impossibile andare ancora più indietro eppure nel 1956 Arthur C. Clarke ha scritto The City and the Stars, un romanzo ambientato in una città amministrata da un computer (e fin qui…) che però non solo amministra la città e la vita dei suoi e delle sue abitanti, ma ne crea i corpi. Hai sentito bene, perché quando un essere umano muore, il Computer Centrale (che fantasia per i nomi negli anni cinquanta, eh?, altro che Invernomuto…) salva la sua memoria nei propri banchi e di tanto in tanto la travasa nei nuovi corpi.

Agghiacciante? Sì.

C’è qualcosa di ancora più vecchio? Sì di nuovo.

È infatti dell’anno precedente, il 1955 il più vecchio reperto che sono stato in grado di trovare sul tema: in The tunnel under the world (scritto da Frederik Pohl… ma del quale hanno fatto una versione cinematografica nel 1969 diretta da Luigi Cozzi): tutti gli abitanti di Tylerton sono stati uccisi dall’esplosione di un’industria chimica. Lo spietato pubblicitario Dorchin (sempre detto io che dei pubblicitari bisogna diffidare) ricostruisce la città in miniatura. E poi ricostruisce anche gli abitanti, come minuscoli robot ancora dotati della loro coscienza, per testare campagne pubblicitarie molto aggressive.

Naturalmente la storia è raccontata dal punto di vista dei minuscoli schiavi, che scoprono la verità. Mica cazzi.

Perfettamente adatta, presa da qui

Buona riscoperta e, se avete segnalazioni da fare per reperti ancora più vecchi (niente magia, però: il fantasy sta da un’altra parte per questa volta), ci sono i commenti!

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Adri Allora

Linguist, entrepreneur (co-founder of Maieutical Labs), curious. I’m here on Medium mostly to learn, even when I write something.