Come risolvere i problemi della scuola

Sembrerà in credibile, ma una soluzione c’è, ed è ovvia

Adri Allora
8 min readApr 24, 2023

Penserai che si tratta della solita sparata, leggi tutto, secondo l’algoritmo di Medium ti costerà otto minuti della tua vita, poi potrai decidere se ti suona efficace ed efficiente oppure no.

I Tre Passi

La soluzione si articola in tre passi, ma solo il terzo è operativo, gli altri due sono preparatori.

Primo passo: riconoscere che c’è un problema intorno alla scuola, e il problema è: la scuola come insieme non funziona abbastanza bene. Questo passo è in realtà costituito da due sottopassi: il primo è riconoscere che c’è un problema, il secondo è fermarsi prima di definire il problema più nel dettaglio. Sembra controintuitivo? Lo è. Ma nel momento in cui si definisce il problema come qualcosa di più specifico di “non funziona abbastanza bene” si sta già implicitamente fornendo un ventaglio di possibili risoluzioni, e noi questo non vogliamo ancora farlo. Riconosciamo che esiste un problema.

Secondo passo: mettiamo al centro di ogni possibile soluzione lɛ studenti. Sai che per il ministero la Scuola non è una scuola ma un posto di lavoro, infatti quando c’è da negoziare delle riforme vengono coinvolti i sindacati, ma noi dobbiamo pensare in modo diverso. Quale obiettivo distingue la scuola pubblica da qualsiasi altro posto di lavoro/struttura?

La Scuola è l’istituzione che fornisce ai e alle giovani gli strumenti culturali per diventare cittadini e cittadine felici e in grado di migliorare se stessɛ, il loro contesto, la nazione e il mondo.

Questo secondo passo è la vera rivoluzione, ma è molto generico, in fondo esistono diverse accezioni possibili per la locuzione “migliorare (se stessɛ, il loro contesto, la nazione e il mondo)”. Anche puntando l’indice verso la congiunzione e (che forza una interpretazione inclusiva in cui bisogna migliorare tutto insieme e migliorando se stessɛ a discapito del resto non si ottiene un reale miglioramento), possono esistere idee diverse sull’idea di “migliorare”: per esempio la nostra presidente del Consiglio crede che migliorare il mondo significhi porlo in un sistema dittatoriale, patriarcale, omolesbotransfobico, razzista e antidemocratico.

Rimane il fatto che porre al centro della riflessione chi studia rappresenti qualcosa di mai fatto prima a livello istituzionale (e che non verrà fatto finché il diritto di voto verrà esteso ai e alle dodicenni almeno).

Terzo passo: la Scuola è un sistema complesso e, come tutti i sistemi complessi, deve essere trattato come tale ma, questo è affascinante, nel caso della Scuola non è necessario andare alla ricerca dell’ur-problema genesi di tutti i mali: si parte da una cosa qualsiasi che non funziona e si pensa a come intervenire sull’intero sistema attraverso quella cosa.

Attenzione, alcune recenti riforme potrebbero aver dato l’idea che si sia fatto esattamente così, ma guarda qual è l’approccio risolutivo tendenziale:

  • il problema delle infrastrutture: il Governo stanzia fondi per risolverlo;
  • il problema del numero di studenti in classe: il Governo stanzia fondi per risolverlo (be’, no, in realtà questo problema è negletto, ma se chiedeste a qualsiasi personaggio politico cosa ha fatto/proposto il suo schieramento per risolvere questo problema, direbbe che volevano stanziare fondi per assumere più docenti… eccetto quell’imbecille che, pur non avendo lavorato un giorno in vita sua, dice che “bisogna farli lavorare di più, questi professori”);
  • il precariato: il Governo stanzia fondi per risolverlo;
  • la tecnologia: il Governo stanzia fondi per risolverlo;
  • la formazione degli insegnanti: il Governo stanzia fondi per…

Si potrebbe continuare, ma è chiaro che qualcuno sta sopravvalutando il potere del denaro, come quel nostro investitore che anni fa, quando gli dissi che ci voleva tempo per sviluppare un nuovo software, mi rispose: “ma mettiamoci più soldi, assumiamo più developers”. Sospiro.

Ora, è chiaro che i soldi servono, ma proporre di stanziare fondi è una soluzione generica senza una visione e senza una visione sistematica, anche perché stanziare fondi significa anche definire con precisione come questi fondi vadano spesi (ed è giusto), il che significa che stanziarli per la ristrutturazione dei locali scolastici significa risolvere solo quel problema senza vedere l’insieme.

Ecco cosa significa invece applicare una visione sistemica mettendo al centro le e gli studenti.

Prendiamo un problema centrale e uno secondario, giusto per.

Le classi-pollaio

Il problema centrale è il sovraffollamento delle aule.

Ci sono poche aule, troppi studenti, quindi bisogna spendere soldi per “comprare spazi” (ristrutturarli, costruirli, affittarli… il senso è quello).

È un modo di vedere il problema e quindi la soluzione. Ma ce ne sono altri (e riporto i primi che mi vengono in mente). Poniamo la questione come domande: sarebbe ancora necessario ridurre il numero dellɛ studenti se…

  1. …se lɛ studenti fossero più o meno tuttɛ allo stesso livello? Invece dell’aula “della prima A”, c’è l’aula di matematica, che ad ogni ora (o blocco di ore) fa matematica a un certo livello (propedeutica, introduttiva, base, intermedia, avanzata, quelchessivuole), le e gli studenti si spostano da una classe all’altra e non vengono “bocciatɛ” o “promossɛ” ma viene loro suggerito di spostarsi avanti o indietro in base alla loro resa scolastica separatamente per ogni materia? Il fatto di avere classi omogenee, migliorerebbe il lavoro di docenti e discenti? Forse sì.
  2. …se le lezioni fossero strutturate diversamente, ad esempio se si prevedesse una durata inferiore e molte attività extra muros sia disciplinari (da questo punto di vista la scuola istituzionale potrebbe imparare molto dalle scuole parentali che non avendo necessariamente delle aule prevedono esperienze altre comunque mirate a un apprendimento disciplinare) che non disciplinari (la pandemia ha lasciato delle fragilità nel corpo studente, anche gravi, e queste fragilità hanno un effetto diretto sulla motivazione, che è il grande e negletto noto della didattica, anche se la ricerca didattica parla di motivazione almeno dagli anni sessanta del secolo scorso)? Avendo più varietà, sarebbe possibile avere gruppi classe più piccoli da gestire diversamente? Forse sì.
  3. …se organizzassimo attività scolastica anche nel pomeriggio in modo da distribuire diversamente lɛ studenti in classe e si finalmente la smettessimo con questo buco di due mesi per lɛ docenti e tre mesi per lɛ studenti delle vacanze estive che tante conseguenze hanno in termini di summer loss? Già solo con il metodo alla francese (due settimane di vacanza ogni due mesi e un mese di vacanza in estate), gestendo in maniera oculata le due settimane di vacanza, le scuole potrebbero avere un po’ di respiro? Forse sì.
  4. …se ogni istituto aprisse un dialogo con lɛ proprie studenti? In che modo convolgere lɛ direttɛ interessatɛ avrebbe un effetto sulla didattica e sulla gestione degli spazi o dei tempi? Forse ne saremmo stupitɛ.

La tecnologia

Il nostro problema secondario (scelto apposta per dimostrare che si può partire da qualsiasi punto) è la tecnologia.

Ora, quando si parla di tecnologia, di solito s’intendono i cellulari, anzi, gli smartphone. E ci può andare bene anche questa visione ristretta della tecnologia, anche se sono tecnologia anche le lim e le penne stilografiche, i video, i libri, la stampa a colori e quella a caratteri mobili… la scrittura, è una tecnologia. Ma noi concentriamoci sugli smartphone.

Dopo due anni di tecnologia forzata (quando penso ai lockdown e alla dad/ddi mi viene in mente l’immagine di un’oca in preparazione per il patè de foie gras)

o anche questo,

la gente non ne vuole più sapere di tecnologia, soprattutto tra chi insegna, come mi diceva qualche settimana fa una deliziosa docente alla fine di una doppia presentazione in classe dei nostri software.

Non tutti e tutte, ma molte e molti. La maggior parte.

Ma… è vero?

Io credo di no. Per il semplice fatto che la gente continua a usare la tecnologia. La gente non ne può più della tecnologia a scuola, e non ne può più, perché la tecnologia che abbiamo usato finora non ha funzionato, e non ha funzionato perché non era pensata per coloro che ne dovrebbero essere lɛ principali fruitorɛ: docenti e, soprattutto, studenti.

Le tecnologie didattiche oggi sono (per lo più) questo:

Vero che l’ombra del mio smartphone conferisce all’immagine un non so che di neorealismo?

Fuffa. Effetto wow.

Oppure

qualcosa che fa questo effetto.

Invece la tecnologia è tante cose diverse. Distinguiamo due tipi di tecnologia: le tecnologie con le quali la Scuola nel complesso è a suo agio (scrittura, libri e lavagne/LIM/touchscreen, word processor, software per presentazioni) e tecnologie con le quali la Scuola nel complesso non è a suo agio (social network, videogiochi, cellulari, condivisione di file). Vedremo che in realtà le tecnologie con le quali la Scuola è a suo agio sono le tecnologie con le quali lɛ docenti sono a loro agio. Ma le tecnologie che ho segnalato come (alcune tra) quelle con le quali la Scuola non è a suo agio, sono pane quotidiano dellɛ studenti.

Che cosa succederebbe se si cercasse un punto di incontro? Attenzione: non trovasse ma cercasse. Cercare un punto di incontro significa aprire un dialogo, e aprire un dialogo sui contenitori significherebbe aprire un dialogo sui contenuti.

Quali giganteschi passi avanti rappresenterebbe in termini di coinvolgimento ma anche di approfondimento avviare un dialogo con le classi sui metodi migliori per veicolare un certo contenuto? Quali trasformazioni alla didattica richiederebbe? Non escluderei a priori che dai contenitori (intesi come media, come canali nell’accezione di Jakobson) si possa passare ai contenitori dei contenitori (la lezione, l’aula, il laboratorio) o ai contenitori dei contenitori dei contenitori (la struttura organizzativa e spaziale della singola scuola).

E, attenzione: dialogare con lɛ studenti è solo una possibile via (molto fruttifera in potenza, ma altrettanto dispersiva in potenza): esistono altri modi per trovare un punto in comune. Per esempio, secondo il modello lean startup, sperimentare con la classe e recepire un feedback (magari ecco, solo non in termini di voto o di “impressioni” ma elaborando delle griglie di valutazione standard) da parte dellɛ discenti: provare un software, poi un altro, provare l’assenza del libro di testo come timone dell’attività didattica in favore di una molteplicità di libri diversi da discutere in comune, provare modelli di lezione diversa (flipped classroom, lezione segmentata, peer teaching). Anche in questo caso, non è scontato che la sperimentazione travalichi l’esperienza del singolo docente e coinvolga altri aspetti della vita dellɛ studenti. Ma, se anche non fosse così, vuoi mettere l’impatto in termini di crescita di una classe che è stata attivamente coinvolta nella progettazione didattica? Forse potremmo davvero sperare di far uscire cittadinɛ felici dalle nostre scuole.

Sostituire “uomo” con quel che si preferisce. Funziona sempre.

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Adri Allora

Linguist, entrepreneur (co-founder of Maieutical Labs), curious. I’m here on Medium mostly to learn, even when I write something.