Freak Pride, Torino 2022. O forse Freek Pride. O Freak Parade. Insomma, io c’ero, mica l’ho scritto. Comunque, ci siamo capitɛ.

DIVERGENDER

dopo una recensione al buio, una alla luce

Adri Allora
9 min readOct 29, 2022

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Una lunghissima premessa

Me ne ero già occupatǝ e vorrei continuare a raccogliere e recensire esempi di narrativa di genere (fantasy e fantascienza) trans. Avrei voluto parlarvi di Human/, un volume antologico pubblicato da Moscabianca, che contiene tra gli altri il racconto Key-code di Erica Gigat in cui la protagonista trans Faraa, in una Torino cybermagica, deve vedersela con una congrega di streghe terf. Fichissimo. Ma il volume è ancora in qualche scatolone in mezzo a questo doppio trasloco (presto, speriamo, triplo) e poi mi è capitata per le mani una cosa ancora più appetitosa.

Non per il suo valore letterario (non saprei mettere a confronto due prodotti così diversi), ma per le sue ambizioni.

Partiamo dall’inizio: all’inizio di ottobre, come molte altre persone, sono andatǝ a Stranimondi, a Milano (no, non quello della foto qui sopra, quello della foto qui sotto)

Ecco, questo.

dove, come al solito, non sono riuscitǝ a trattenermi e ho comprato troppi nuovi libri (mentre gli incontri, quelli sì, vanno sempre e comunque bene).

Io ho degli editori feticcio, che controllo ogni volta che posso, anche se loro non se ne accorgono perché ho sempre questo problema a interagire con le persone che non conosco. Però da Moscabianca, Asterisco (che non c’era), Zona42 (che ultimamente sta facendo troppo weird e troppa poca fantascienza per i miei gusti), Acheron (a cui vorrei sempre proporre la mia lineup per un romanzo fantasy con migranti interdimensionali che arrivano in Italia, dal punto di vista di quattro ragazzɛ di provincia), Future Fiction (del quale devo ancora leggere e recensire qui “Il mio genere è top secret”), EffeQu e da qualcun-altro-che-non-mi-viene-in-mente-adesso ci passo sempre.

Uno di questi libri in realtà l’ho preso due giorni prima alla libreria Nora, ma mi piaceva mettere tuttinsieme.

Ah, non ho citato Delos, ma l’ho fatto apposta perché con loro ho un rapporto particolare. In primo luogo perché tra tutte le case editrici citate sono quelli che conosco da più tempo (credo che i loro primi libri che ho comprato siano stati “L’imperatrice di Marte” di Kage Baker e “Il dominio della regola” di Milena De Benedetti, roba dell’inizio del secolo, credo, e uno che mi aveva profondamente scossǝ, perché c’erano delle cose che da linguista mi facevano tremare gli organi interni, “il linguaggio segreto” di Ruth Nestvold) e poi perché sono loro che hanno pubblicato Nuvole pesanti (e quando sono finalmente andata a vedere in faccia chi fosse quel gentilissimo Silvio Sosio con cui avevo scambiato mail a ridosso della pubblicazione, ho avuto un vuoto e non mi ricordavo neanche più come si intitolasse la mia storia… sono un’inettǝ sociale).

E poi perché sono loro che hanno deciso di pubblicare un libro che mi ha incuriosito per il suo obiettivo.

Un libro con una ambizione

“Divergender” è un’antologia, ma non di sola narrativa si parla visto che insieme ai nove racconti compaiono tre saggi, con l’ambizione di iniziare ad affrontare (credo per lettori e lettrici che non si sono mai postɛ il problema) il tema del gender nel genere fantascientifico. Ora è chiaro che il genere fantascientifico tratta del gender da quando esiste (o quasi, ma parla da sempre di alterità e comunque non è un caso che le donne siano tra le prime autrici di fantascienza) ma, come dire, qui si tratta di un’opera “di avvicinamento”. Vediamo insieme contributo per contributo.

Salto solo l’intro, non me ne volere, e farò UN MUCCHIO DI SPOILER.

Le Sembianti, di Fabio Lastruci, è un racconto che richiede qualche pagina prima di permetterti di entrarci dentro (e questo è molto buono) e contiene un’ambientazione interessante, eppure dopo averlo finito mi sono chiestǝ: ma che cosa mi dice sul gender questo racconto? Il fatto che delle donne simulino una vita di sottomissione in che modo mi fa riflettere o mi dice qualcosa sulla questione del genere? Io non ci sono arrivatǝ. Ambiguo.

Il sogno di Sultana, Rokeya Sakhawat Hossain, si inscrive nel filone delle utopie femministe partito credo con Mizora, di Mary Bradley Lane (1880), e che sarebbe proseguito con Herland, di Charlotte Perkins Gillman (1915) e che avrebbe avuto così tante e meravigliose istanze (cito qui soltanto la divina Joanna Russ e Nicola Griffith). È un racconto del 1905 ma non patisce troppo l’età avanzata. Storico.

Emancipazione, di Caterina Mortillaro, mi ha lasciato molto perplessǝ: nel suo mondo finzionale gli uomini sono tenuti sotto controllo grazie a dei chip. L’idea è immaginare come sarebbe il mondo se i ruoli di potere fossero rovesciati. A differenza di quanto accade ad esempio con Ragazze elettriche (Naomi Alderman, 2016), il quadro generale è puro nel suo rovesciamento: gli uomini (a parte il protagonista maschile) sono uomini e le donne pure sono uomini: l’esercizio del potere non cambia di un epsilon rispetto a come ci si potrebbe immaginare che accadrebbe se quei chip esistessero davvero e li avessero le donne (ah, ma il patriarcato ha elaborato strumenti non meno raffinati). Il difetto del racconto è, a mio parere, proprio questa purezza, che pervade ogni cosa al punto da suonare finto.

Generalmente i genietti come lui erano smilzi, deboli e molto spesso gay.

È quello che pensa la protagonista, la quale poco più tardi, commenta che la “biondina tutto seno era proprio il tipo di partner che la collega prediligeva”. E poi ci sono dei dettagli, dei nomi propri e delle esplicitazioni di troppo nei dialoghi, senza le quali il racconto sarebbe invece stato molto interessante. Imperfetto.

Benvenuto in paradiso, di Antonio Martino, si apre con la premessa “Questo racconto ha un intento satirico” che è allo stesso tempo un’autorizzazione a scrivere la qualunque e un pessimo mood in cui calare lǝ lettorǝ (è un po’ come se prima di un racconto divertente leggessi “Questo è un racconto che fa ridere”… è meglio se lo capisci da solǝ). Nella fattispecie la satiricità di questo racconto consiste nell’usare come setting per il ritorno di un viaggiatore spaziale un mondo in cui chiunque è costretto a fare sesso con chiunque se glielo ordina il suo chip sessuale.

A parte:

  • qualche svarione (come: il definire “maschi maschi” i maschi etero… per fortuna il protagonista è “maschio maschio”: la sua mascolinità non è messa in dubbio!);
  • il protagonista che dice cose strane (per esempio spiega di essere di ritorno da un viaggio di un anno pur sapendo, come dichiara mezza pagina dopo, che sulla Terra il suo viaggio è durato centotrentun anni);
  • praticamente tutti gli altri personaggi scortesi e che cercano in ogni occasione di ribadire i dettagli della loro vita sessuale

Per esaminarla ho dovuto rinunciare a un paio di ore di sesso con il mio partner trans.

  • e una certa confusione tra orientamento sessuale e identità di genere (comunque all’interno di un netto binarismo):

Esiste un gran numero di identità sessuali e di genere. Maschio, maschio maschio, maschio con attrazione verso il proprio sesso, verso i trans, verso i multisex, o verso tutti i precedenti. Lo stesso vale per le donne.

mi limiterò a dire che a me non ha fatto ridere, né ha suscitato alcun tipo di riflessione o emozione che associo alla satira. Posto che, secondo Luttazzi e Dario Fo, la satira si usa contro i potenti, non so se l’avrei impiegata contro la comunità lgbtqia+.

Forse in questo caso due etti di sensitive reading avrebbero fatto bene. Anche due chili.

Alta marea, di Silvia Treves, è il primo racconto in cui si trova un lavoro sulla lingua attraverso, almeno, gli articoli. Io faccio un passo in più e soddisfo l’accordo morfosintattico (ma l’autrice è abile a giocare altrimenti): lœ protagonistœ ha un ruolo fisso, che potrebbe schiacciarlœ e a cui si ribella semplicemente scegliendo la propria strada. L’universo di riferimento è già ricco pur solo abbozzato. Emozionante.

Molti generi e molti mondi. L’antropologia e gli studi di genere, di Maria Giovanna Cassa, è il primo dei tre saggi. A parte un faticoso insistere su “l’Uomo”, “gli uomini” e “gli antropologi” (tutto al maschile) ci ho trovato un mucchio di riferimenti, spunti e argomenti interessanti. Io sono una persona ignorante, ma secondo me è utile anche a chi ne sa di più.

Giornataccia in ufficio, di Alberto Costantini, è il dialogo serale di una coppia lui-lei di esseri meccanici (positronici?) che gestiscono gli esseri umani. Qui il gioco divertente funziona e la natura paradossale dell’operazione sta soprattutto nel fatto che mentre “i carnosi” sono un continuo cercare variazione attraverso la “rimodellazione di attributi esterni” e un continuo pensare al sesso tanto che le macchine si chiedono come abbiano fatto a fondare la Civiltà, le creature protagoniste sono quanto di più eterocis e borghese ci sia. Divertente.

La camera dello sposo, di Giovanna Repetto, vanta un’ambientazione sontuosa, che mi ha instillato un po’ di tristezza, e una protagonista il cui unico scopo è figliare ma che scopre un’altra ragione per vivere (e forse morire). Poetico.

MechanoGender, di Franci Conforti, inizia male e poi spicca il volo e presenta un’idea di sesso tra le macchine come “relazioni specifiche, intime e profonde, che davano vita a prodotti o a servizi” che riesce a reggere per tutto il resto della storia. La capacità di raccontare un mondo così completamente alieno mi ha piacevolmente fatto tornare in mente La scala di Schild, di Greg Egan. Sorprendente.

Forse amore è una parola grossa, di Charlie Jane Anders, è un racconto potente: si narra dell’amore tra due creature che sfida diverse convenzioni e forse anche qualche legge. Il setting prevede diversi generi (anche in questo caso connessi alle funzioni sociali, come nel racconto di Conforti, e credo che questa sia una caratteristica del patriarcato) e degli articoli/pronomi specifici per ognuno di essi. Anche se ho apprezzato lo sforzo traduttivo, in alcuni casi mi è parso che non funzionasse appieno. Faccio un esempio: in questa frase be è pronome personale soggetto e ber è pronome oggetto (altrove è anche aggettivo possessivo) della stessa persona:

Be mi guardava, terrorizzato, mentre percorrevo ber con le mani.

Il pronome oggetto in italiano sta prima (lo percorrevo, non percorrevo lui) quindi qui ber non sembra più un pronome, ma un nome. È un dettaglio, ma devo ammettere che in diverse occasioni la mia lettura è inciampata su dettagli simili. Bello.

Dal femminismo al queer: la rilevanza della fantascienza tra fine sessanta e inizio Ottanta, di Pietro Adamo, è un altro saggio, più attento alle questioni filosofiche con un’introduzione che io ho trovato difficilissima (oh, ma sono io, eh, lo so) e che poi diventa molto più ricco e godibile. Mi è piaciuto molto perché un po’ di riferimenti su quella fantascienza lì li avevo (Farmer, Sturgeon, Tiptree, Russ, LeGuin, Bradley, Carter), ma tanti altri mi mancavano (Delany, McIntyre, Gerrold, Varley). L’unica cosa che mi ha lasciatǝ perplessǝ è un uso della locuzione “politically correct” per indicare gli alieni non cattivi che iniziano a comparire da qualche parte negli anni sessanta, ma ok.

Oltre il binario: gender e fantascienza, di Roberto Kriscak, è il saggio che chiude il volume. Anche in questo caso ho apprezzato i riferimenti a quel che non conoscevo (in particolare la rassegna iniziale di scrittori maschi che raccontano la guerra dei sessi, ma non solo) ma anche in questo caso sarebbe stato fico un giro di letture sensibili, perché quando io ho letto “Alex Dally MacFarlane, scrittrice, editor e critico letterario […]” mi sono chiestǝ se era volontà di esprimere un non binarismo o solo confusione “da Presidente del Consiglio”, così come in questo volume in particolare mi ha dato fastidio l’uso di anticipare i cognomi di donne dall’articolo (la Tiptree, la Musa eccetera). Però i contenuti sono interessanti.

Conclusioni

Come anticipato, una lettura attenta alle questioni linguistiche connesse al gender avrebbe giovato: fa sorridere che un libro sul gender applichi in maniera acritica e onnipervasiva il maschile sovraesteso: ora, non dico di usare lo schwa, ma strategie di splitting e di parificazione ne esistono a bizzeffe (mi ricordo una litigata furiosa con il responsabile commerciale della mia azienda perché pretendevo un opuscolo pubblicitario che fosse corretto che si concluse con un “e allora dài, modifica tu tutti i testi e vediamo cosa ne pensa la redazione!” e poi neanche vide dove avevo modificato: si può fare bene).

Poi io avrei preferito avere gli spieghini sui singoli racconti dopo i racconti, e non prima (e infatti li ho letti dopo), perché due parole dall’autrice o autore dopo che ne ho letto il lavoro suonano come “facciamoci ancora una birra insieme prima di salutarci”, mentre prima mi sembra di venir imboccatǝ.

Però il libro io lo consiglio: gli ultimi cinque racconti e i saggi sono tempo trascorso in compagnia di storie interessanti, del nostro e di altri mondi. E poi alcuni dettagli dei libri Delos (qui è il bordino grigio a fondo pagina) a me fan sempre piacere.

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Adri Allora

Linguist, entrepreneur (co-founder of Maieutical Labs), curious. I’m here on Medium mostly to learn, even when I write something.