Esercizi di disciplina digitale

come sopravvivere alla socialpatologia

Adri Allora
5 min readDec 25, 2022

--

Non so se te ne sei accortǝ, ma a un certo punto nel mondo dei social network si è verificata una evoluzione.

Io ci ho messo tanto tempo, come per altre cose (bazzecole come la mia identità di genere) ho prima vissuto la nuova situazione con un misto di disagio e fascinazione. Poi mi sono resǝ conto che questa evoluzione riguardava il rapporto con i contenuti: all’inizio, i contenuti erano secondari rispetto alle relazioni tra le persone (erano social network), poi sono diventati centrali (sono diventati social media).

Improvvisamente tuttɛ sono diventatɛ opinion leaders, detentorɛ della verità e celebrità dalle cui labbra pendere.

Le parole chiave sono diventate: polarizzazione e complottismo

Ora, il complottismo esisteva ben prima della trasformazione dei social network in social media: il primo sito che ho visto online, mostrato dall’amico e fotografo Marco Destefanis, era un sito nel quale si dimostrava che David Hasselhoff è l’anticristo (ma non credo che fosse serio, non ricordo). E il terrapiattismo esiste da alcuni millenni prima dell’avvento di Internet (ma, vabbè, hanno avuto una buona scusa almeno fino a Galilei), ma il fatto che il quarto d’ora di celebrità fosse diventato così accessibile ha dato la stura a qualsiasi voce fuori dal coso, lì, il coro (non foss’altro che in un coro, per starci, devi saper cantare).

La polarizzazione invece è l’effetto riprodotto inconsapevolmente di una precisa strategia di marketing: nel momento in cui i contenuti sono diventati più importanti delle relazioni (quando cioè abbiamo smesso di andare su Facebook per organizzare la pizza con lɛ ex compagnɛ di liceo e ci siamo andatɛ invece per leggere cosa c’era di nuovo), i contenuti che suscitavano più emozione (rabbia, tipicamente, perché la rabbia e la gioia sono le emozioni che è più facile condividere, ma la gioia è più bella condividerla dal vivo e la rabbia è più facile dietro uno schermo) suscitavano anche più reazioni e venivano premiati dagli algoritmi.

Adesso la polarizzazione è una way of life, sui social, e ame non piace, quindi ho elaborato una strategia di sopravvivenza (perché proprio farne a meno no, non ci riesco).

La strategia in cinque passi

Prima, una premessa: questi passi stanno andando bene per me, ma non è detto che vadano bene anche per te. Tuttavia potrebbe essere utile vedere come unǝ ci sta provando con effetti positivi.

Il primo passo è stato stendere una lista dei social media che frequentavo e trascrivere una stima del tempo che mediamente ogni giorno dedicavo ad ognuno di essi. Poi un giorno ho trascritto i tempi effettivi e ho riconosciuto uno scostamento (secondo il quale sottostimavo il tempo). L’esercizio di disciplina è stato non dire mai “è un caso particolare, di solito lo faccio di meno”.

Il secondo passo è stato rileggere gli ultimi commenti sul social medium che usavo di più (Facebook) e riconoscere che il mio modo di interagire era uguale a quello di chiunque altro (e questo è stato il difficilissimo esercizio di disciplina di questo passo). Il primo passo era servito a farmi prendere coscienza del fatto che stavo dedicando troppo tempo ai social media, il secondo passo è servito a farmi capire che i social media stavano avendo un effetto su di me.

Il terzo passo è stato uscire da Facebook. Prima di farlo mi sono trascritti i nomi e cognomi di tutte le persone che seguivo con interesse su Facebook per cercarle su Instagram (ne ho perse alcune, e mi dispiace, ma ne andava del mio tempo e della mia serenità) e ancora adesso a volte avrei voglia di andare a scorrere la parete. L’esercizio di disciplina del terzo passo è resistere alla voglia: quelle piccole scariche di dopamina mi sembrano cosi desiderabili!

Il quarto passo è stato ridurre le occasioni di fruizione di LinkedIn e di Instagram: come meritano, li uso solo per ricerche specifiche o nei tempi altrimenti morti: brevi tragitti sui mezzi pubblici, attese su pensiline, cose così. Parallelamente, però, ho cercato di mettere in atto una strategia più contenutistica: i miei post su Instagram sono autoironici: ho creato un personaggio e lo interpreto. L’esercizio in questo passo è, scusami, mi viene da scriverlo così: downsizing my ego. In realtà mi diverto anche, perché mi permette di scatenare la mia vena nonsense, ma è il pacchetto glitterato intorno a un’operazione di chirurgia della personalità.

Il quinto passo è imparare ad evitare titoli clickbait (“come scrivere meglio”, “Come guadagnare tanto”, soprattutto in inglese) e autorɛ che dicono, in fondo, poco. Ce n’è uno, italiano, che scrive molto piacevolmente, ma, cazzo, sembra la versione leggera del Gramellini che stilava i corsivi su La Stampa: post con una idea ragionevole in cui ci si possa riconoscere che prendono spunto da un evento specifico e nient’altro. L’esercizio è chiedersi ogni volta: “in cosa questa lettura mi fa crescere o migliora?”, e poi: “e gli altri post della stessa persona?” e infine, se le risposte alle domande sono niente e no, dire: “Anche no, grazie” e depennare. E, dopo, sforzarsi di immaginare quali sarebbero le risposte di chi legge quel che scrivo io. Nel modo più critico possibile.

Gli effetti a brevissimo termine della strategia

L’effetto del primo passo è stato capire che avevo veramente bisogno di ridimensionare il mio tempo nei social come fruitorǝ passivǝ.

L’effetto del secondo passo è stato capire che ci sono certe persone che non mi piacciono online e che, se è vero che non voglio diventare una di loro, non voglio neppure trascorrerci troppo tempo insieme. E che se voglio stare con le (parole delle) persone che mi piacciono, devo trovare altre strade.

L’effetto del terzo passo è stato avere più tempo: leggo di più, guardo più serie e spero anche che un giorno ricomincerò a scrivere.

L’effetto del quarto passo è stato trovare una dimensione più personale: anche se non fa differenza per nessun altro, mi sento meno unǝ instagrammer qualsiasi e più quellǝ pirla che parla coi cassonetti. E mi diverte (più che dire la mia).

L’effetto del quinto passo è stato esplorare di più, incontrare più cose nuove scelte da me e non da un algoritmo. Nel medio periodo spero che la qualità dei miei post (perché queste parole sono la dimostrazione che non ho rinunciato ad esprimere un’opinione, solo che lo faccio in un contesto diverso) migliori. Intanto, ho già frutti da raccogliere.

--

--

Adri Allora

Linguist, entrepreneur (co-founder of Maieutical Labs), curious. I’m here on Medium mostly to learn, even when I write something.