Io Dall-e giochiamo.

Gamification

perché ogni promessa è debito

Adri Allora
3 min readJan 26, 2024

--

Avendo la passione per i giochi e per il loro valore educativo, ho sempre pensato che la gamification fosse una specie di obiettivo a cui puntare, anche se non avevamo mai le risorse per implementarla come avrei voluto.

E lo penso ancora, in parte, ma col tempo ho iniziato a riflettere anche su aspetti altri (anche sollecitatə dalla lettura di un articolo sul bellissimo Menelique Magazine scritto da Matteo Lupetti). Infatti, com’è implementata la gamification dei prodotti didattici? Di solito in tre modi:

  • con i badge e punti (Duolingo, Funnifin, Class Dojo, Khan Academy… per ora mi vengono in mente questi, e lo specifico forfettariamente adesso ma vale per tutte le menzioni di software da qui in avanti dentro questo post);
  • con i percorsi e le gare (Sirius, Nearpod, Kahoot, che però è diverso perché è essenzialmente un contenitore gamificante);
  • con modalità specifiche di esecuzione di compiti standard, ad esempio nelle modalità a tempo (Duolingo, Brainly, Allenati!).

Ora, pur lasciando da parte il fatto che l’efficacia dei metodi di gamification è tutt’altro che dimostrata, ci sono quattro spunti di riflessione secondo me da non sottovalutare:

  1. nel gioco il fallimento è parte dell’esperienza. È formativo. Ma se, come accade abbastanza sistematicamente, gli achievement (una nuova tappa raggiunta, un nuovo badge sul nostro medagliere) sono nella sostanza una forma alternativa di valutazione del percorso didattico, allora la gamification si sta brutalmente scrollando di dosso l’idea del gioco. Non è un problema, ma alcuni argomenti “forti” pro gamification vengono meno;
  2. anche prendendo una accezione di gioco più ristretta (il gioco con regole ben definite e condizioni di vittoria e sconfitta), gli elementi che la gamification prende dai giochi sono secondari all’esperienza di giocosità per tre tipi di giocatori su quattro (praticamente la gamification soddisfa soltanto gli achievers, lasciando a bocca asciutta socializers, killes ed explorers). Questo è un difetto? Non necessariamente, è comunque meglio di niente, ma certo non si può negare che ridimensiona la portata didattica della gamification;
  3. nella gamification vengono messe al centro dell’esperienza motivazioni esterne (il raggiungimento di certi obiettivi) invece che interne (quel che vuol fare chi gioca in base alle proprie esperienze e gusti) basandosi sull’assunto che, rivestita l’esperienza didattica con le fattezze del gioco, quel tipo di gioco sia quel che vuole chi gioca (ma sappiamo che questo non avviene per tre tipi di players su quattro);
  4. infine, e questo è stato il motivo per cui ho iniziato a guardarmi intorno per leggere qualcosa su questo argomento, la gamification non ripensa la didattica. Mai. È sempre qualcosa in qualche modo accessorio. Pensaci: aggiungere i badges o vincolare l’accesso a un certo contenuto al raggiungimento di un certo obiettivo cambia qualcosa nei test che vengono somministrati per validare il raggiungimento di quell’obiettivo? Anzi, in software molto giocosi come Brilliant, l’aspetto della gamification “tradizionale” è paradossalmente quello meno giocoso: non sono i punti o le gare, ma la possibilità di fare esperimenti, lì, che rendono piacevole l’esperienza.

Questo post non vuole essere distruttivo: io ho un’ottima opinione dei software che ho citato. E non è neanche il mio “nondum matura est” perché nei software di Maieutical Labs non c’è la gamification che vorrei (ma che non è quella di cui ho parlato finora, ed è uno dei motivi per cui non abbiamo la gamificazione); in fondo in questo Alatin, Itaca, MathX, Alex, Praxis e Lyceum sono in buona compagnia (per fare solo due nomi, non mi pare che Rosetta Stone o Babbel abbiano nulla di gamificato).

Però secondo me vale la pena di rifletterci in maniera critica, giusto per farlo.

--

--

Adri Allora

Linguist, entrepreneur (co-founder of Maieutical Labs), curious. I’m here on Medium mostly to learn, even when I write something.