E la risposta è 42!

La scuola dell’innovazione

Adri Allora
3 min readOct 29, 2020

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Come tutte le realtà complesse anche la scuola può essere semplificata al punto di stare in un’opposizione binaria (“ci sono due tipi di scuole: quella buona e quella cattiva” oppure “quella che funziona e quella che non funziona” e sono certo che se ne possono trovare molte, molte altre). Questo genere di opposizioni, che alla fine è insieme sempre vera — perché generalista — e falsa — perché perde la complessità di ciò che dovrebbe descrivere, serve più a isolare aspetti specifici di un fenomeno che a fornirne una definizione.

Allora farò anch’io questo gioco e, per parlare di scuola e innovazione, inizierò col dire che ci sono tre tipi di scuola che funzionano.

C’è la scuola che insegna le risposte; apparentemente questo tipo di scuola è molto efficace perché insegnare le risposte è una cosa importante: serve a rendere le persone che sono formate in quel modo a rispondere alle domande che il mondo pone.

Ma le domande che il mondo pone, ancorché distribuite su una gaussiana (e ciò che rende efficaci le scuole del primo tipo è la capacità di coprire la curva nella sua parte centrale), sono infinite e quindi lo sono anche le risposte. Il problema, allora, è che invece la scuola non è affatto infinita, con buona pace di sostenitori e delle sostenitrici del lifelong learning.

C’è quindi la scuola che insegna a rispondere, cioè cioè a trovare e formulare le risposte alle domande che vengono poste. Queste scuole sono molto interessanti, perché mettono in grado di rispondere a domande che non erano state poste prima. Affascinante, no?

Eppure l’idea di scuola per competenza (perché e di questo che si sta parlando, non era chiaro?) non gode di credito universale, vuoi per la difficoltà dell’obiettivo, vuoi perché è complicato anche solo definire che cosa si sta cercando di insegnare.

Esiste un terzo tipo di scuola? Non potremmo accontentarci? Forse sì, ma stiamo solo chiacchierando, proviamo a fare un altro passo…

C’è dunque il terzo tipo di scuola, la scuola che insegna a porre le domande. Questa è la vera scuola dell’innovazione perché unǝ studente che ha imparato a rispondere (non quindi le risposte ma proprio a rispondere) è comunque limitatǝ dalle domande che vengono poste.

Facciamo un gioco mentale (un Gedankenexperiment di Ørbertiana memoria): immaginiamo una persona in grado di rispondere a qualsiasi domanda, anche mai posta prima. Invidiabile, no? Affascinante! Che incredibile prospettiva di fronte all’idea di poter rispondere a qualsiasi domanda!

Eppure questa persona incredibile mancherebbe del guizzo di chi è in grado di porre domande mai poste prima. Porre le domande è un esercizio molto molto complesso. Porre le domande significa conoscere un po’ di risposte e saper rispondere e di conseguenza sapere come porre le domande prima di tutto. Porre le domande è in sostanza il metodo scientifico, capire in quale paradigma ci si muove e come ottenere nuove risposte senza ripetere le domande.

Certo, si potrà obiettare, il metodo scientifico è utile, ma non va bene dappertutto. Che c’entra con la poesia o con l’arte?

E se non fosse così? Se il metodo scientifico fosse possibile in qualsiasi ambito, se la regola di produzione un prodotto letterario innovativo fosse il risultato di un’ipotesi che l’esperienza letteraria ci chiede di falsificare, come fruitorǝ e autorǝ? Se la scuola dell’innovazione non fosse una scuola che ci chiede di rispondere, ma di fare ipotesi (anche sulla scuola stessa) e di metterle alla prova?

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Adri Allora

Linguist, entrepreneur (co-founder of Maieutical Labs), curious. I’m here on Medium mostly to learn, even when I write something.