L’incubo dei moduli
Come trasformare una cosa buona come i parametri ESG in un abominio
Le premesse a grandi linee: in Italia facciamo i migliori software didattici per la scuola (approccio per padronanza, ottimizzazione del lavoro degli utenti, adattività, applicazione della teoria del carico cognitivo, analisi dei dati di utilizzo dei contenuti, esperimenti di machine learning), non abbiamo mai avuto un anno in passivo, non abbiamo mai aperto linee di credito con le banche, il fatturato è sempre stato in crescita (anche se lieve: quel costante 5/10% all’anno in media dopo l’esplosione iniziale). Due anni fa riceviamo un finanziamento che ci permette di investire per fare nuovi software e adesso spendiamo più di quel che ricaviamo: è logico in una fase di investimento. Vorremmo continuare a investire per esempio potenziando il nostro fronte commerciale, al momento sguarnito, ma non stiamo fatturando abbastanza da sostenere questi costi di investimento, quindi facciamo la cosa ragionevole in questi casi: chiediamo altri soldi.
Chi c’è passato sa cos’è una due diligence (legale, di prodotto, di business) e quanto sia onerosa in termini di tempo e sa quante scartoffie servano a qualcuno che non ti conosce e che non ha idea di quello che tu faccia per decidere se meriti il suo denaro. A un certo punto salta fuori la mortifera valutazione ESG (Environmental, Social and corporate Governance) che in teoria è una gran bella cosa, perché pone l’attenzione su elementi ambientali, sociali e di governo e gestione dell’azienda, ma in pratica è qualcosa di generalmente inutilizzabile.
Perché? Perché viene chiesto ad aziende anche molto piccole e indipendentemente dal loro campo operativo:
- se esiste un team interno specializzato in tematiche ESG (opzioni possibili: sì tutti; solo in parte; no);
- se si hanno certificazioni ambientali (opzioni possibili: sì, più di una; sì, una; in corso di valutazione; no. L’opzione: non significativo non è contemplata);
- qual è il gender diversity ratio (in cui si chiede se il genere prevalente di chi lavora in azienda è inferiore al 60% del totale; tra il 60 e l’80% o superiore all’80%… questo indice non ha nessuna utilità: un’azienda che impiega soltanto donne vale esattamente come una che impiega soltanto uomini, indipendentemente dall’area di applicazione, e il mio conoscente che ha il comparto IT fatto da soli uomini e il marketing da sole donne è perfettamente a posto con un KPI che comunque ha senso solo quando sei abbastanza grande e operi in un contesto tale da poter scegliere, magari perché abbastanza donne hanno studiato informatica);
- quali criteri ESG nella selezione di fornitori vengono applicati (di nuovo, quando puoi permetterti di scegliere, e comunque non era prevista l’opzione “non applicabile);
- se l’azienda implementa pratiche di lavoro etico, se fornisce sostegno ai paesi in via di sviluppo, se incoraggia l’occupazione giovanile…
Bo’, io sono perplessǝ, davvero ho l’impressione che questo format sia pensato per grandi aziende con enormi disponibilità di risorse da dedicare a certi temi, quando la vera battaglia in molti casi è sul tenere spento il più possibile il condizionatore d’estate (E), lasciare la tavoletta del cesso abbassata quando si esce dal bagno (S) e lasciare a disposizione snack aziendali e biblioteca aziendale allɛ dipendenti (G). Noi facciamo molto di più, ma non formalizziamo niente, perché formalizzare significa consumare risorse, eppure tutto questo formulario finisce per iniettarti una buona dose di senso di inaguatezza. Come dice l’orsetto Pooh: “maccheccazzo!” (no, aspetta, forse l’orsetto Pooh dice “Oh, rabbia!”, sono io che dico “maccheccazzo!”).