Pronomi. E altro
Qualche riflessione sulla gentilezza. E altro.
Punti di riferimento
Questo post parte da un bel post di Antonia Caruso sulla transfobia.
No, parte da una conversazione che ho avuto col primogenito sul concetto di colpa (che bello quando crescono abbastanza da dialogare con te!). Però poi passa dal post di Antonia.
Conversazione col primogenito
Stavo cercando di spiegare al mio giovane interlocutore l’idea secondo la quale la vittima di un reato, se esiste il reato e indipendentemente dalle sue attenuanti (tipo rubare per mangiare), non è mai in nessuna misura colpevole.
“Eh, già,” ribatteva lui, “se io vado in una brutta zona di Torino con il portafoglio pieno di banconote in bella vista e so che lì borseggiano, me la sono andata a cercare. Se lascio la macchina aperta con la chiave inserita e me la rubano, me la sono andata a cercare.”
Ho replicato che “Io non posso accettare questo discorso, perché non c’è nessuna differenza con l’idea secondo la quale hai indossato la minigonna, quindi se ti hanno stuprata è anche colpa tua.”
“Ma se tu sai che funziona così, che lì ti deruberanno, hai facilitato il furto.”
“Potrei risponderti allora che la colpa è di chi non ha saputo garantire la mia sicurezza… sarebbe divertente: ogni volta che c’è un reato, vengono sanzionate oltre a chi l’ha commesso anche coloro che avrebbero dovuto prevenirlo o evitarlo!”
Abbiamo litigato, perché io non sono capace di comunicare come una persona civile. Però poi abbiamo ripreso la questione e gli ho detto: “Occhei, il mondo funziona così, ma forse dovremmo pensare al mondo come vorremmo che fosse, oltre a tenere presente com’è. Io vorrei un mondo che lavori affinché le vittime non siano mai considerate concorrenti della colpa, anche se si sono comportate in modo da facilitare o istigare il reato, perché secondo me sarebbe un mondo in cui è più facile vivere.”
Non era convinto, ma credo di aver chiaritǝ almeno a me stessǝ un concetto importante.
Per inciso, la nostra giurisdizione è d’accordo con mio figlio: secondo il comma 4 dell’art. 158 del Codice della Strada, per esempio, se lasci il finestrino della macchina abbassato incoraggi un furto e sei sanzionabile; ma tant’è: rimango dell’idea che una società sia tanto più evoluta quanto meno considera le vittime complici di quello che hanno subito.
Articolo sulla transfobia
L’articolo di Antonia è difficile per me, ma un concetto l’ho capito subito: la transfobia non si manifesta solo con la violenza fisica o verbale: esistono modi più sottili per ferire una persona. Qualcuno l’ho assaggiato anch’io, nell’ultimo anno, e in un paio di occasioni anch’io ci ho fatto su qualche riflessione (qui e qui… e del secondo dovresti leggere lo scambio su whatsapp che ne è seguito: illuminante, davvero).
Ora, prendiamo i pronomi: anche nel discorso pubblico, negli ultimi anni i pronomi sono emersi come potenti strumenti di auto-identificazione. Detto in altri termini, ci sono persone che richiedono alla loro lingua (chiunque la parli), attraverso i pronomi, di riconoscere alcune loro caratteristiche. Perché per loro è importante, senza stare a guardare per le loro motivazioni. Distinguiamo due casi di uso dei pronomi:
- la comunicazione privata (preferibilmente interpersonale faccia a faccia). Immagina la scena: “Buongiorno, come si chiama?”, “Giovanni”, “Ah, ma secondo me lei è più un… un Francesco, direi. Quindi la chiamerò Francesco. E la presenterò con questo nome ad altre persone”. Ecco, tutto qui: i pronomi sono una questione di gentilezza, di accettazione e rispetto. Non delle idee, ma di quello che le altre persone provano. Chi volontariamente ignora il pronome richiesto non ha semplicemente rispetto per chi quel pronome l’ha richiesto. Dici che è difficile usare il femminile con una persona che all’anagrafe è registrata come uomo? Da quando interagisci con persone adulte usi il femminile come forma di rispetto indipendentemente dal genere all’anagrafe e ti fai il problema adesso? La verità è che la difficoltà che devi superare tu per comunicare in maniera corretta non è paragonabile alla mortificazione di una persona che non si riconosce nel modo in cui la chiami “per semplificarti la vita”.
- la comunicazione pubblica. È ancora più semplice perché in tutti i casi di comunicazione pubblica, che si tratti di un insegnante alla classe, di una istituzione alla cittadinanza o di unǝ giornalista al suo pubblico, esiste una asimmetria di potere: una parte detiene il potere di accedere a una vasta platea, l’altra no. In questo caso, a maggior ragione, la tutela di chi quel potere non ce l’ha diventa significativa, perché la sua assenza rende patenti due messaggi: (i) non mi interessa mostrare rispetto per la parte più debole del mio uditorio; (ii) poiché quell’uditorio è probabilmente oggetto di discriminazioni, annullandolo nei miei discorsi confermo il mio appoggio a quelle discriminazioni. Allora devi piegarti alla “dittatura del politicamente corretto”? Sì, cazzo, politicamente corretto significa esprimersi con rispetto nei confronti di categorie che non hanno potere e subiscono discriminazioni. A dispetto delle manipolazioni della comunicazione (per esempio: eteropride, razzismo al contrario, invasione dei migranti) è molto facile definire le categorie che non hanno potere: prendi l’esponente tipico di chi esercita il potere nel luogo di riferimento e tanto più ti allontani da quell’esponente tipico tanto meno potere hai. In Italia l’esponente tipico di chi esercita il potere è bianco, maschio, maggiorenne, abile, eterosessuale, formalmente cattolico, con una rendita economica (da lavoro, ma non necessariamente). Ogni tratto che non condividi con questo modello comporta almeno una forma di discriminazione.
Quello che voglio dire è che le persone che non usano volontariamente i pronomi giusti sono a prescindere persone cattive, prepotenti e crudeli (quel tipo di cattiveria, preptenza e crudeltà che non passa per le aggressioni fisiche, ma che deriva dalla stessa matrice). Esistono altri insulti, ma questi secondo me sono i più calzanti.
Oh, certo, i paladini del politicamente scorretto si vantano di essere persone cattive, e di solito lo fanno con un bel sorriso malizioso e con uno sguardo di superiorità. Come se essere per davvero cattivi fosse figo. Questo non fa che confermare che si tratta di persone che valgono niente: potranno anche mascherarsi dietro il loro potere, ma noi sappiamo la verità e, in fondo, anche loro.
Conclusioni
Come interagiscono questi due spunti iniziali, dove s’incontrano? Nel concetto di normalità. Qual è la normalità che stiamo vivendo? Con quale modello di società ci confrontiamo ogni giorno ed edifichiamo il nostro futuro? Ci piace? Davverodavverodavvero?