Recensione al buio
quel volume italiano su una apocalisse zombi
Cos’è una recensione al buio?
Io leggo molto, e mi sforzo pure di bazzicare le piccole case editrici e gli autori e le autrici esordienti perché pescare nei laghi preparati per la pesca ti permette di portare sempre a casa un mucchio di pesce, ma ti impedisce di trovare posti nuovi. E pesci nuovi.
Però poi spessissimo mi capita di pensare mentre leggo: “macristiddio, ma per ‘stammerda ho pure speso dei soldi? Ma come cazzo ha fatto a farsi pubblicare questǝ?”
Però, pensandoci bene, io da questi errori imparo sempre qualcosa, allora vale la pena di condividere gli errori, senza puntare il dito contro qualcuno per almeno tre buoni motivi: 1) io non sono neanche arrivato a quello: di narrativa ho pubblicato solo un libercolo piccolino, per di più in ebook, quindi con che diritto puntare il dito? 2) a maggior ragione, se fossi uno Stephen King de noartri, sarei una persona meschina a puntare il dito contro contro esordienti evidentemente impreparatɛ al mestiere della scrittura; 3) a che serve puntare il dito? A niente. È proprio una logica sbagliata: ha fatto la cazzata? Vabbé, è la cazzata che ci interessa, mica chi l’ha fatta: non siamo pettegolɛ frustratɛ in cerca di qualcuno da perculare.
Quindi niente dita puntate.
Una recensione al buio quindi è: una sboccata e insensibile recensione in cui non dico di che libro sto parlando, corredata da una serie di citazioni che a me servono a prendere la misura della mia scrittura.
Overview
Il libro racconta una apocalisse zombi prevalentemente ambientata in Italia, survivalista (action più che horror), con approccio corale. Non sarebbe male se non per due difetti:
- l’autorǝ temporeggia troppo per svelare il mistero di questa apocalisse, e poi smaltisce tutto in poche pagine. Ma se la tiri a lungo con i preliminari, voglio un orgasmo all’altezza;
- a parte l’ambientazione italiana (ma anche su questo, a ben guardare, ci sono almeno dei lavori usciti dalla Moon Base Factory che trattano l’argomento… Faina Solitaria ti dice qualcosa?) neppure io, che non sono unǝ fruitorǝ abituale del sottogenere, mi sono mai stupitǝ per una qualunque cosa. Ma niente proprio, eh: cause, sintomatologia, spiegazioni, intrighi… c’è già tutto in qualche altro film, o videogioco, o gioco da tavola, o serie. Manca quel guizzo che poteva svoltare il romanzo in un “ok, magari imperfetto per altro, ma che idea strafiga!”
Dettagli
Guarda i grassetti.
Le palline di Tepin, peperoncino rosso messicano, venivano scosse dal vento. (p.7)
Secondo me c’era un modo più elegante di buttare in faccia quell’informazione. Così è già infodump, anche se sono solo tre parole, perché sono tre parole di troppo. Subito dopo c’è un capoverso in cui si poteva spiegare che cazzo fosse il Tepin, ma no, semplifichiamoci la vita.
Eppure la sera prima godevano di ottima salute, di questo Will ne era sicuro. (p.7)
A me, quando leggo questa costruzione, sale la bestemmia. Proprio dal cuore. O “di questo Will era sicuro” oppure “Will ne era sicuro”. Oppure non controlli abbastanza la lingua italiana. Comunque buono: grazie a questo libro ho imparato che devo sempre leggere la prima pagina di un libro che penso di comprare: se c’è un errore come questo, passo a un altro libro.
Alice e Valerio amavano passeggiare con Jax, il loro cane, un meticcio di taglia media, dal manto fulvo e corto. (p.9)
Inspira. Sopprimi la bestemmia. Espira. Sopprimi la bestemmia. Inspira. Davvero c’era bisogno di descriverlo così? Davvero non potevi far emergere l’aspetto del cane (e il fatto che si tratta di un cane, del loro cane) nei tre paragrafi successivi in cui parli della passeggiata?
Alla vista di un suo simile Jax si mise ad abbaiare. (p.10)
Leggendo questo libro ho capito che uno dei difetti che voglio imparare ad evitare è fornire spiegazioni per quello che sta per succedere. Quanto sarebbe stato più efficace qualcosa del tipo: “Jax si mise ad abbaiare. L’altro cane lo guardò attento, immobile”?
Era da un po’ di tempo che la coppia trovava difficoltà nel dialogare; spesso si scontravano per piccolezze, soprattutto quando Alice si sentiva particolarmente oppressa da ciò che la circondava. (p.10)
Il primo grassetto è un altro esempio della tendenza a descrivere (e a prendere le distanza da ciò che è raccontato): nel momento in cui una coppia viene definita come “una coppia che ha difficoltà a dialogare”, pur secondo una logica denotativamente inattaccabile, diventa una struttura sociale e smette di essere due persone. Sarebbe bastato scrivere: “Da un po’ di tempo avevano difficoltà a dialogare; spesso…” per rendere tutto più vivo e presente e umano. Il secondo grassetto sta tutto nell’avverbio: io non sono unǝ crociatǝ contro gli avverbi in -mente, ma quando ho letto che si scontravano con piccolezze soprattutto (ma non solo) quando Alice si sentiva oppressa con particolare intensità, ho pensato che fosse un avverbio superfluo. Un po’ come quando qualche capoverso più sotto ho letto:
Lui alzò le sopracciglia, intimamente preoccupato per la sua reazione. (p.10)
Ma si può essere preoccupatɛ non intimamente? Qui devo però ammettere che forse mi manca qualche competenza sociale, perché rimango perplessǝ anche quando poco sotto leggo questo:
Valerio, da dietro, la scrutava di nascosto, mentre cercava di tenere a bada l’euforia di Jax che cresceva alla vista dei gabbiani (p.10)
Ora, se è da dietro, perché scrutarla di nascosto? E, io ho un cane e faccio diverse passeggiate insieme a lui, ma cosa vuol dire tenerne a freno l’euforia? Tira il guinzaglio, gli dice di stare calmo o lo prende in braccio e lo trattiene mentre lui tenta di sgusciare via per correre dai molesti volatili? Mi spiega cosa succede, ma non me lo fa vedere.
La ristrutturazione della casa procedeva in fretta, mancava solo qualche mobile in cucina e avrebbero finito. (p11)
Ora, i nostri personaggi sono appena entrati in casa, secondo me si poteva omettere che la ristrutturazione era della casa. In più, leggendo le due proposizioni dopo la virgola non ho capito se devono ancora ristrutturare qualche mobile in cucina o se devono comprarlo, ma vabbé.
Carlo Falchini, neurologo, aveva un sogno […] stringeva tra le mani la rivista che conteneva il suo ultimo articolo a riguardo. […] <<Ho finito di pulire, signor Falchini>> gridò Vanessa, la donna delle pulizie. […] <<Ti ringrazio Vanessa>> disse con un sorriso smagliante, reso ancora più luminoso dalla pelle del viso leggermente abbronzata. […] Carlo non era solo neurologo, si occupava di psichiatria e il suo giorno libero lo sfruttava per tenersi aggiornato attraverso letture o ricerche. (p12)
Qui tutti i grassetti sono parole di troppo. Tutto quel che dicono è già chiaro dal contesto, dagli eventi, dal modo di interagire e da quello che fanno i personaggi. Sono solo alcuni esempi: la spiegazione e il micro infodump sono una cifra stilistica, in questo libro, tanto che nelle prime nove pagine di storia viene ripetuto che Alice conta le cose, anche se ci viene già fatto vedere che lo fa: sarebbe stato tante volte più efficace continuare a farcelo vedere durante tutto il libro invece di lasciar cadere questa caratterizzazione a pagina 16. Non riporterò altri esempi di spiegazioni, tanto ci siamo capitɛ.
La donna le fece cenno di avvicinarsi, così, dopo averlo fatto, Alice infilò l’esile braccio all’interno della fessura, fino a far cadere il numero oltre la scrivania. (p.15)
Non sembra anche a te legnosa la descrizione di quel che sta succedendo? Ma per le descrizioni legnose secondo me ci sono dei sintomi: se sei costrettǝ a scrivere frasi come quella in grassetto, con un riferimento anaforico (il lo pronome del verbo) e un verbo generico (come il verbo fare), significa che stai sbagliando qualcosa: la frase va ripensata.
<<Vieni Stefano, entriamo nel tuo studio, non mi sembra il caso di parlarne qui fuori…>> Carlo cercò di riportare la situazione alla normalità, ammorbidendo i toni, e di trascinare via il collega. (p.56)
Il discorso diretto è pretestuoso: serve allǝ lettorǝ e non ai personaggi, così come il seguito. Altrimenti sarebbe potuto essere: “Carlo ammorbidì il tono di voce e prese Stefano per il gomito trascinandolo nel suo studio: <<Andiamo a parlarne dentro…>>”. Ecco, bastava poco.
E, a proposito di bastare poco, mi ha molto divertitǝ questa deliziosa meccanica da maschio alfa all’opera:
<<Non sono pronto per tutto questo>> ammise Giovanni con voce tremante.
<<È ora di tirare fuori le palle, Giovanni. Marisa, prendi il seghetto e vieni a darmi una mano.
La donna eseguì senza profferire parola. (p.63)
Altri dettagli:
- le battute di dialogo si aprono troppo spesso con il nome dellǝ destinatariǝ del messaggio. Facci attenzione anche tu, quando scrivi;
- stai attentǝ alla pornografia della referenzialità: una frase come “In fondo a esso un uomo in camice bianco era seduto su di una sedia di piccole dimensioni”, alla luce del testo che precede può essere scritto: “In fondo, un uomo in camice bianco aspettava su una piccola sedia”, il resto è superfluo;
- buoni indici di pornografia della referenzialità sono le riformulazioni esplicative: “Carlo tese la mano verso di lui, che ricambiò il gesto di riconciliazione” (il grassetto si poteva omettere);
- il verbo acconsentire prevede che qualcuno ti chieda di fare qualcosa e che tu abbia la possibilità di rifiutarti, se sei obbligatǝ dalla minaccia di violenza non stai acconsentendo. Lo dico per lɛ giudici che mi leggono e poi devono giudicare accuse di stupro;
- mai usare la locuzione posizionarsi di fianco detto di una persona che si mette di fianco a un’altra, che l’affianca o che si porta al suo fianco (e credo che esistano altri modi per dirlo in maniera più elegante);
- mai usare il modificatore caratterizzata per introdurre una descrizione (“la sua espressione, caratterizzata da occhi scavati e sbarrati per il terrore”);
- attenzione alla matematica (“Vivo qui con la mia famiglia da una decina d’anni, pochi in confronto a cinquant’anni di vita”… il 20% non è poco). Ah, no, ma non è questo, è che quel che c’è dopo la virgola è… boh, agghiacciante?
- Evita. I. Cliffhanger. A. Tutti. I Costi. Non stai scrivendo dei romanzi d’appendice, la storia è già stata comprata nella sua interezza e la lettura può essere un’esperienza accogliente, in qualche momento.
Impressione finale
Citerò una battuta del libro che compare a pagina 245, adattandone alcune parole:
<<Adri, a questo punto, dopo aver letto quello che hai scritto, so che hai dei dubbi su questo libro e posso parlarti francamente. Tu non sei al sicuro qui, e neanche io lo sono […]>>
Ecco, appunto.