Ritorno all’ovile
Dopo molto tempo, ho ripreso in mano un romanzo high fantasy.
A volte il destino ci mette nella condizione di ripensare le nostre posizioni, per fortuna.
Uno dei miei tre migliori amici delle elementari si chiama Andrea e, finché ci siamo frequentati, era quello con cui condividevo la mia passione per la lettura: scambiavamo i Topolino e i libri (ho ancora dei volumi frutto di quegli scambi). Dopo le elementari ci siamo incontrati sporadicamente, ma ogni volta è stato piacevole confrontarsi con un lettore (e un giocatore di ruolo) così simile eppure così diverso da me. L’ultima volta, è stato su un pullmann SATTI nella tratta tra tra Torino e Gassino: il confronto, quella volta, è stato sulla lunghezza dei libri (e, per lɛ amanti del dettaglio, il casus belli la saga de “La ruota del tempo”), perché io già allora sostenevo che se hai bisogno di così tante parole per raccontare una storia non sei un autore o una autrice così brava, mentre lui difendeva l’idea che tanti eventi richiedono tante parole.
Ho ripensato molto alla nostra divergenza di opinioni nell’ultimo mese e mezzo.
Il volume
Sulla scorta di una ricerca fatta qualche tempo fa, stavo cercando romanzi high fantasy che contenessero protagonistɛ transgender e, non so perché, è saltato fuori questo volume:
771 pagine di storia (al netto di una trentina di pagine di nomi, cronologia e ringraziamenti) con circa cinquanta personaggi (ma i principali sono meno di un quarto e lɛ protagonistɛ verɛ e propriɛ quattro) che si muovono ai tre punti cardinali (manca il nord) del mondo di riferimento.
Il volume dev’essere saltato fuori perché una delle due protagoniste è lesbica e due personaggi principali sono una donna lesbica e un uomo gay. Probabilmente era in una lista di narrativa queer, ma fuori dal mio centro di interesse. Eppure, alla luce del fatto che non percorrevo questi sentieri dal molto tempo (il fantasy è oggi molto più vario di quanto non fosse quando ho iniziato e valeva la pena di esplorare altre strade nel frattempo) è stata una esperienza interessante.
La lunghezza della storia
Rispetto a quando ne ho parlato con Andrea, il mio punto è cambiato un po’: allora era: “Ma perché hai bisogno di così tante parole per raccontarmi una storia?” (ed ero un po’ polemicǝ), oggi è: “Ma c’è veramente bisogno di tutti questi eventi per raccontare una storia?” (e non sono polemicǝ, me lo chiedo davvero).
Certo, lo slittamento è importante, perché una storia è fatta di quello che racconta più di come lo racconta. Partiamo dal presupposto che le storie non sono creature indipendenti da chi le scrive: in quanto prodotti culturali sono il frutto di scelte, e quando scrivi una storia lo fai perché pensi che, mettendoci dentro esattamente quegli ingredienti, la storia sarà più bella. Anzi, proseguendo con la metafora culinaria, pensi che mettendoci quegli ingredienti, piacerà di più a chi la consumerà.
Non so quanto abbia venduto questo romanzo, certo abbastanza da giustificare una traduzione in italiano, quindi mi sento autorizzatǝ a dedurre che questa è una direzione nella quale va il gusto dellɛ lettorɛ di high fantasy. Vediamo i punti così essenziali che me sono accortǝ pure io.
La buona notizia è che si tratta di un volume autoconclusivo: chi legge vuole una storia che finisce (per esempio per le serie non funziona così, anche se io ho apprezzato tantissimo che The Umbrella Academy finisse).
La seconda buona notizia è che ci siamo liberatɛ della figura dell’Eletto (potrebbe essere l’unico aspetto positivo dell’antipolitica?).
La terza notizia è il valore positivo attribuito al cambiamento: una bella rivoluzione rispetto al mindset generale dell’high fantasy.
Però rimangono le profezie (ma almeno quella che c’è si rivela sbagliata: quarta buona notizia); le storie di casate secolari; i draghi cattivi e i draghi buoni; le forme di magia segrete; i lunghi, lunghissimi viaggi; gli ordini di guerriere imbattibili; gli intrighi a palazzo; i re manipolati di thèodeniana memoria.
Piacevole il melting pot di oriente (ci sono le katane), occidente teutonico e meridione con delle specie di amazzoni-ninja-hashishim (quelle del priorato dell’albero delle arance che danno il titolo).
Infine, parliamo di quattro protagonistɛ che viaggiano un po’ ovunque e dipanano una storia da 770 pagine, che è la cosa che turba me: davvero lɛ lettorɛ di high fantasy hanno bisogno di queste dimensioni? Di questo tipo di avventura? È ancora possibile un’epica in duecento pagine (penso al Conan canonico e a quello apocrifo, al re non decapitato, a Moorcock, a Zuddas, a Jirel di Joiry, alla porta di Ivrel)?
Non ho altra risposta che un commento qualunquista: forse c’è bisogno di una simile bulimia di cappa e spada come reazione a quel che si trova una volta chiuso il libro, e tenere vivo il racconto più a lungo lo rende più vivo e pulsante.
Qualche dettaglio
Da un punto di vista formale non sono mancati dettagli che mi hanno lasciato perplessǝ. Alcune sono sciocchezze che dipendono dal fatto che sono una persona noiosa e rompiscatole, una di quelle che quando legge (p. 14) “tutti i colori dell’arcobaleno” pensa: ma… l’arcobaleno racchiude tutti i colori dello spettro visibile, non bastava dire “tutti i colori”?
Altri dettagli sono solo questione di forma, per esempio (sempre a pag. 14) “aveva la pelle scurissima e un dolce accento del nord e, con le sue spalle larghe, la sovrastava dell’intera testa” mi ha fatto pensare: ma devo considerare che la sovrasta grazie alle sue spalle larghe? E subito mi sono venute in mente anatomie cubiste. Oppure quando (pag. 535) si parla di passi di danza “fluenti come il velluto” e con la lettura inciampo, non ho nulla cui appigliarmi. Lo so, lo so: sono inutilmente puntigliosǝ.
Infine mi chiedo: (1) se è un glicine, perché lo devi chiamare aprilite? Se è un leone marino, perché lo chiami lamantide? Se è una lancia ynish perché chiamarla partigiana? In che modo questo mi avvantaggerebbe come lettorǝ?; (2) perché è così difficile imparare che un fendente è un colpo che dall’alto in centro scende in basso e a meno che il bersaglio non sia sdraiat, non. Mozza. Teste? Questo c’è quasi sempre e fa il paio con la mossa di Drizz Do Urden che schivava un fendente abbassandosi (nella realtà, se ti abbassi il fendente lo ricevi poco dopo, ma non lo schivi). Ora, non tuttɛ abbiamo fatto scherma medievale (io sì), ma basta consultare un fottuto dizionario.
Conclusioni
La storia è lunga e ben strutturata. Funziona, anche se a me ha fatto l’impressione di certi all you can eat non-giappondizia: piacevole, arrivi fino alla fine ma ti chiedi perché ci fosse davvero bisogno di mangiare così tanto.
In più, non ho trovato il microinfodump, gli orrori nei dialoghi, la paura che non spiegando tutto prima chi legge si perda (eccetto forse a p. 22, ma sono tre righe su 770 pagine), insomma, è scritto bene.
Quindi? Se per te non è un problema affrontare un’opera di queste dimensioni e non stai cercando romanzi high fantasy con protagonistɛ trans, puoi godertelo.