Un agghiacciante déjà-vu (umarell)
Nel settembre del 2006 l’allora ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni e l’allora ministro per le Riforme e l’Innovazione nella Pubblica Amministrazione Luigi Nicolais lanciavano il progetto “DiGi Scuola” con il quale portavano trionfalmente le LIM nelle scuole.
Io non ho niente contro le LIM, anzi, penso che siano un figata: se usate decentemente, come minimo hanno contribuito ad aumentare la confidenza con le nuove tecnologie in ambito didattico. In qualche caso hanno anche avuto un effetto positivo sul piano didattico (ma non si tratta comunque di effetti misurabili su larga scala; in effetti non esistono al momento prove documentate di relazione positiva tra dotazione LIM e, ad esempio, prove invalsi, e sono ottimista).
E tuttavia ho sentito un bruciore, una sorta di rash cutaneo tutto intorno all’anima, apprendendo che il nuovo ministro ha deciso di investire 450 milioni di euro dei fondi strutturali europei per un progetto che si chiama “Digital board: trasformazione digitale nella didattica e nell’organizzazione” e che ha per obiettivi l’acquisto di:
- “monitor digitali interattivi touch screen” (cit.). Definizione che mi ha fatto capire come una definizione possa da sola trasmettere l’età mentale di chi l’ha prodotta: se i monitor sono touch screen sono necessariamente interattivi (un monitor touch screen non interattivo a che cazzo serve?); anzi, se sono touch screen è difficile che non siano anche monitor; infine, i monitor interattivi non digitali sono oggetti abbastanza ricercati da rendere l’aggiunta dell’aggettivo digitali quantomeno pleonastica
- attrezzature per postazioni di lavoro degli uffici di segreteria, quali PC/notebook ed eventuali periferiche strettamente necessarie se non già incluse (scanner, tavoletta grafica per acquisizione firme, stampante multifunzione da tavolo, stampanti per badge, lettore di smart card, docking station, unità di back up, webcam, cuffie auricolari), gruppo di continuità, display informativo.
Perché provi dolore, mi chiedi? Per lo stesso motivo per cui al momento dell’introduzione delle LIM io ero perplesso:
perché i nostri legislatori e le nostre legislatrici pensano che dall’oggetto fisico derivino necessariamente le pratiche culturali
perché il sottotesto di questa manovra (un sottotesto involontario, cagionato da ristrettezza di pensiero e ignoranza) è che, dato l’oggetto, il suo contesto ne derivi automaticamente un’innovazione nelle pratiche, che è ciò di cui ha veramente bisogno la scuola italiana.
È lo stesso ragionamento che si fece sulle LIM, e che ancora adesso, al di là delle mie impressioni, non sappiamo se abbiano rappresentato un beneficio o meno alle performances degli e delle studenti.
Solo che mettere un nuovo oggetto in un contesto altamente strutturato e con una lunga tradizione, che patisce vincoli di tempo, spazio e risorse, nel migliore dei casi genera declinazioni di quello che già si faceva prima. Lo chiarisco con un esempio: quando hanno introdotto la LIM, l’effetto più comune è stato usarla come schermo per far fare lezione frontale a youtube (comunque, in certi casi ha rappresentato un miglioramento) oppure come lavagna interattiva che dava nuovi problemi e toglieva l’opzione di andare dal bidello a chiedere nuovi gessetti o nuovi pennarelli. Tutto il resto della pratica didattica era uguale a prima.
L’idea stessa di déjà-vu si è fatta agghiacciante, perché un mucchio di persone (uno a caso a parte me? Eccolo) da un anno e mezzo ripete che bisogna (ri)partire dalla didattica, ragionare sui metodi, che la DAD è stata una straordinaria occasione (sprecata) per farlo, e invece niente.
Niente, niente, niente.
Mi sento come l’umarell davanti al cantiere.
Solo che questa volta, tristemente, ho ragione io.