Sulla mia Hornet arancione…

Valutazione e competenze

Adri Allora
6 min readJul 30, 2021

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Questa settimana, dopo un paio di mesi pienotti (come passa il tempo, eh? Ma a giugno e luglio non ho scritto nulla…), sono andato in pista.

È stata una bella esperienza che mi ha permesso due riflessioni: sulla percezione di sé e sulla capacità di andare in pista. Poi, lo sai ormai, quelle che per le persone normodotate sono riflessioni che si fermano lì, al limite fanno da contorno a una battuta sulle mezze stagioni, per me diventano pipponi terrificanti sulla didattica. Ma è pur vero, devi ammetterlo, se continui a venire qui almeno un po’ deve piacerti, quindi confido che tu sia prontǝ al solito giro di giostra!

Capitolo 1 (ma sì, ma sì, diamoci un tono)

La prima è sulla percezione di sé: ero straconvinto di essere abbastanza fuori dal sellino in piega, e invece sto proprio incollato lì. Ero convinto di avere il piede nella posizione giusta, e invece lo tenevo piantato sulla pedalina. Ero convinto di guardare più avanti del punto in cui mi trovavo, e invece tenevo lo sguardo fisso a pochi metri dalla ruota anteriore.

È confortante avere filmati video e osservatori esterni e preparati che possano dirti: qui, qui e qui puoi migliorare.

E prova a indovinare cosa mi è venuto in mente?

Prova ancora…

Esatto, l’Invalsi!

Che tu ci creda o no, in rete è disponibile una versione di questo titolo in cui hanno aggiunto un errore di grammatica! Fantastico…

Leggere i titoli semplificatori sulle testate giornalistiche online è stato davvero come avere una persona che ti urla insulti nella finestra di casa, quindi solleticava l’idea di una secchiata di (non acqua fresca ché è estate e magari verrebbe pure apprezzata) piscio dopo aver mangiato tanti asparagi.

Insomma: mi ci hanno costretto, e neppure ho la consolazione di poter dire qualcosa di veramente originale, perché Elisabetta Tola di Valigia Blu ha già scritto un articolo bellissimo su questo argomento (ma anche l’articolo di Maria Mellone sulla matematica è illuminante).

La cosa che sconvolge è che si peschi questo e quello, addossando colpe adesso alla pandemia e ieri l’altro ai cellulari, quando per dare più respiro al sistema scolastico italiano basterebbe guardare il sistema.

Per esempio, si potrebbe pensare di dimezzare le classi… non alla maniera di Thanos, ma alla mia: raddoppiando spazi e docenti.

Costoso? Certo. Lungo? Certo. Efficace? Probabilmente sì. Rischioso? Meno della situazione attuale, comunque.

Chiaro che avere classi di 15 studenti non risolverà il problema:

  • dellз dirigenti scolatichз più preoccupatз di non avere problemi e rispettare i bilanci che di offrire un’esperienza scolastica positiva;
  • delle segreterie didattiche che pensano che occuparsi di portare allievi e allieve in classe non sia affare loro;
  • delle famiglie convinte che la scuola non serva a nulla, persuase che sia un parcheggio durante le ore di lavoro o, nei casi più deleteri, sicure di avere più titoli e competenza per insegnare dellз insegnanti, in classe;
  • dellз docenti privз di mezzi (da intendersi nella triplice accezione strumentali, tecnici ed emotivi (quantз docenti affrontano la questione della motivazione dei e delle discenti come se non dipendesse da loro?));
  • di un sistema editoriale che quando pensa dei nuovi prodotti si focalizza sulle necessità degli e delle agenti più di quelle di chi i loro prodotti li fruisce;
  • di sindacati elitari e lobbisti disinteressati alla scuola come scuola e al contrario interessati solo alla scuola come “luogo di lavoro”;
  • di un ministero (di una lunghissima serie di ministeri) prono di fronte alle istanze di real politik, ai vincoli di bilancio e assolutamente incapace di fare fronte unico e compatto con tutte le persone che dipendono dal suo operato per ottenere di più.

Tutti questi problemi rimarrebbero, ma che cazzo: almeno si verificherebbe una delle condizioni necessarie (ancorché non sufficienti) per una didattica decente: un rapporto umano tra il numero di studenti e docenti e una gestione dello spazio che non solo permette una gestione della distanza sanitaria ma anche dello spazio individuale.

Capitolo 2 (per non mollare)

Torniamo per un attimo alla pista.

Guardando quelli bravi, guardandoli sfidare la forza di gravità mentre consumavano le loro saponette sull’asfalto e guardare come condividevano lo spazio della pista, ho iniziato a ragionare sulla competenza.

Io mi sono sempre trovato molto a mio agio con il concetto di competenza perché fin da quando ero studente ho odiato i test di pura conoscenza e il non capire perché stessi studiando una certa cosa, e la mia esperienza di studente ha influito sul mio modo di concepire la didattica mediata dalle macchine.

Questo per dire che per me non è un problema se è un concetto non troppo definito: sei competente in un certo ambito disciplinare quando sai affrontare l’inaspettato in quell’ambito.

Sai risolvere un problema matematico che non ti era mai stato sottoposto prima? Sei competente in matematica.

Sai riconoscere l’intenzione dietro lo slogan di un politico oppure sai apprezzare un testo di un tipo che non avevi mai approcciato? Sei competente in lettura.

Sai orientarti vedendo un edificio e capire più o meno quando e come è stato costruito e quali sono le sue caratteristiche? Sei competente in un ambito della storia dell’arte.

Il percorso per arrivare alle competenze è allo stesso tempo qualcosa di:

  • graduale (la competenza non è un tratto binario che hai o non hai, ma — almeno fino a un certo punto — una posizione in un continuum, e questo per esempio nel quadro di riferimento europeo per le lingue è chiaro);
  • misurabile (puoi definire degli obiettivi e quantificare sulla base di quelli, certo devi rinunciare a una quantificazione tradizionale);
  • continuo (non finisce, perché l’inaspettato cambia sempre. E poi oltre un certo punto non è più lineare).

Tipo: guidare è una competenza.

Puoi saper guidare:

  1. in un piazzale vuoto (cioè sai accendere la moto, sai innestare le marce, scalare, frenare, curvare, vedere la traiettoria);
  2. in un paese che magari conosci bene, deserto (cioè conosci la segnaletica stradale e le regole della strada);
  3. in un paese con altre macchine (cioè sai interagire nello stesso spazio con altre persone che possiedono vari gradi della tua stessa competenza);
  4. in una città che conosci bene all’ora di punta (come il 3, ma con molto più stimoli tra i quali discriminare e molti più attori con i quali interagire);
  5. in una città sconosciuta all’ora di punta (come il 4, ma considerando che devi anche capire come orientarti);
  6. con complicazioni (nebbia, tornanti a ripetizione, di fretta, sotto un’alluvione, su ghiaccio, mentre l’auto va a fuoco).

E poi, sempre ascrivibili all’ambito della competenza di guida, vanno considerati:

  • comportarsi in caso di incidente o di guasto (proprio o altrui);
  • insegnare a guidare;
  • usare la guida come metafora di qualcos’altro;
  • saper guidare più mezzi;
  • saper guidare a scopo agonistico;
  • saper adattare il proprio stile di guida alle necessità dellз altrз passeggerз;
  • fare un elenco completo di tutte le competenze di guida (e con questo ho anche dichiarato uno dei miei limiti).

Se provi a sovrapporre quest’elenco alle materie scolastiche, quello che ne esce fuori dal mio punto di vista diventa piuttosto interessante, perché è evidente che per esempio le elementari si fermeranno a un certo punto: il paese con altre macchine, il punto in cui la tua competenza passa dalle basi materiali della disciplina (lettere, numeri, colori, date e movimenti) pronta a muovere verso l’altro (scrivere per essere capiti e leggere per capire, contare per comprare, esprimersi e capire le basi dell’espressione figurativa, collocarsi in una quadro storico e ideologico, fare cose insieme).

Le medie a un altro. Le superiori a un altro. L’università a un altro.

Il quadro diventa più ricco e complesso, ma non più difficile.

Il concetto stesso di competenza diventa immediato.

Conclusioni

Allora, come al solito, mi sono preso la briga e di certo il gusto di quellз che, senza arte né parte, (come giustamente Simone Giusti lamenta spesso) decidono di parlare pubblicamente di scuola.

Dentro ci ho messo il mio essere stato insegnante (università e corsi di apprendistato), di essere genitore e di lavorare in una azienda che fa didattica.

Dal mio punto di vista i pregi di questo post sono notevoli: ho finalmente ripreso a scrivere e mi sono tolto un paio di sassolini nelle scarpe (classi troppo numerose e imbecilli che per non impegnarsi nel lavoro si nascondono dietro una supposta inafferrabilità del concetto di competenza).

Dal tuo? Hey, io la mia parte l’ho fatta…

Chi (ri)conosce, apprezzerà di certo il cortocircuito…

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Adri Allora

Linguist, entrepreneur (co-founder of Maieutical Labs), curious. I’m here on Medium mostly to learn, even when I write something.