DAD. Di chi è la colpa?
Esercitiamoci anche noi in questo meraviglioso gioco
No, aspetta, non hai capito: il gioco non è dare la colpa ma, ricorrendo a uno dei capisaldi del metodo Toyota, chiedersi cinque volte “Perché?”.
Partiamo da due effetti che sono, in generale, attribuiti alla DAD:
- un deficit in termini di preparazione
- danni in termini di sviluppo psicologico.
Sono su un treno e non sto a documentare, ma i documenti esistono, sia nella forma di risultati dei test INVALSI che nella forma di variazione di richieste di sedute psicoterapeutiche, psichiatriche e TSO per adolescenti.
E anche sull’attribuzione di responsabilità alla DAD per questi due eventi ci sono pochi dubbi, almeno sulla stampa generalista e sui social network (ormai sono allo stesso livello… ci scrivono le stesse persone).
Quindi possiamo iniziare con il nostro gioco:
UNO: Perché la DAD ha avuto questi effetti?
Facile: ha avuto un deficit in termini di preparazione dei e delle discenti perché gli insegnamenti (insegnamenti, leggi con attenzione) non sono stati efficaci quanto lo sarebbero stati in presenza. E: hanno provocato danni in termini di sviluppo psicologico perché lo scopo della DAD era quello di creare distanziamento sociale e quindi esattamente avere questo effetto, a qualsiasi costo.
Come suo malgrado sa la mia sfortunata progenie (sfortunata appunto perché è la mia) potrei discettare per ore, se non per giorni, in merito al fatto di scegliere di sacrificare i giovani e quindi il futuro a vantaggio degli anziani, ma oggi ho voglia di scrivere di didattica e questo con la didattica non ha nulla a che fare come non lo avrebbe l’allagamento di una scuola al momento della cui progettazione non si fosse tenuto conto del contesto idrogeologico in cui sarebbe sorta. Quindi non parlerò di questo, e passerò alla seconda domanda.
DUE: Perché gli insegnamenti in DAD non sono stati efficaci ed efficienti come lo sarebbero stati in presenza?
Anche rispondere a questa domanda è facile, ma richiede un discorso un po’ più articolato, infatti le risposte sono ben quattro:
- perché le scuole non erano formate e hanno perso studenti e non hanno supportato docenti e famiglie;
- perché il corpo docente non era formato a fronteggiare una simile evenienza;
- perché le famiglie non erano organizzate per fronteggiare una simile catastrofe;
- perché gli editori di scolastica non avevano interesse ad investire in ricerca e sviluppo per offrire soluzioni didattiche innovative (e hanno avuto ragione: sono statɛ pochissimɛ lɛ docenti che hanno deciso di punire gli editori che non avevano fatto nulla e di premiare quelli che ci avevano provato o lo avevano fatto).
Un bel quadretto, no? Una intera nazione di imbecilli sorpresɛ in una situazione di totale spaesamento.
No, naturalmente no, qualcunǝ che ce l’ha fatta lo stesso c’è statǝ, come c’è statǝ qualcunǝ che ha assistito al completo naufragio della propria psiche o famiglia o economia famigliare. Le code della gaussiana vanno in entrambe le direzioni, io non me ne occuperò. Ma lǝ cittadinǝ mediǝ, quellǝ che si è trovatǝ nella media fino al collo al primo, al secondo e adesso anche forse a un terzo lockdown, quellǝ poteva essere salvatǝ.
Eppure.
Viene naturale chiederselo, no?
TRE: Perché il paese si è trovato (e si trova ancora!) perennemente impreparato di fronte a una situazione di emergenza (continua)?
Non è una questione di soldi o strumenti (anche se più soldi aiuterebbero: conosco insegnanti di ogni ordine e grado che si arrabattano in mille modi per fronteggiare una cronica carenza di risorse) e non è una questione di pastoie legal-burocratiche (anche se parte della normativa scolastica è ipertrofica e penalizzante nei confronti di chi vuole lavorare bene).
Il punto è che chi lavora nella scuola non riesce a pensare che la scuola potrebbe funzionare in modo diverso.
QUATTRO: perché chi lavora nella scuola non riesce a pensare che la scuola potrebbe funzionare in modo diverso?
Perché l’aspetto importante e significativo della scuola oggi non è la sua missione educativa o la centralità della crescita dellǝ studente ma il suo essere apparato.
Insieme di regole, esplicite e implicite.
Luogo di lavoro, fonte di sostentamento.
Tempo di parcheggio, obbligo di legge.
Edifici, normative, responsabilità.
Gli apparati non sono fatti per cambiare, a me l’hanno insegnato quelle persone illuminate che a un certo punto all’inizio del secolo si sono incontrate per capire in che modo potevano essere modificati i processi produttivi delle grandi aziende software e hanno formalizzato il metodo di lavoro Agile. Agile significa destrutturare apparati produttivi, costruire unità permeabili di lavoro basate su flussi strutturati.
Che la caratteristica fondamentale della scuola oggi sia il suo essere apparato lo dimostrano ad ogni occasione i ministri e le ministre che quando devono riformare e finanziare interloquiscono con i sindacati e non con lɛ studenti (vedi questo esempio). Lo dimostrano quelle persone (dirigenti, docenti, amministrativɛ, bidellɛ essɛ stessɛ) che finiscono per arenarsi contro dirigenti incapaci ma assertivɛ, docenti che si lasciano frenare dalla propria ignoranza, segreterie didattiche disfunzionali, collaboratorɛ scolasticɛ che conoscono meglio i propri diritti che i propri doveri.
E ogni volta che una persona si arena, una buona idea si brucia: perdiamo una rampa per persone con disabilità o una iniziativa per fare la differenziata in classe; rinunciamo a un progetto contro il bullismo che invece delle solite menate da film televisivo statunitense (un tempo avrei detto “da libro Cuore”) affronti la questione della violenza di genere, dell’abilismo, dell’eteronormatività a partire dal linguaggio per arrivare a uno sguardo critico di un certo modello di famiglia; abdichiamo alla possibilità di fare lezione all’aperto, in giro per la città, e alla possibilità di far interloquire quello che sta nei libri con quello che sta nel mondo intorno a noi; rifiutiamo la possibilità di vivere la scuola con tempi e orari che vadano d’accordo con le più recenti ricerche sull’operatività cerebrale, sulla motivazione e sulla gestione del carico cognitivo.
Ah, no, ma non è a noi che succede, è a quellɛ altrɛ. Allɛ studenti.
Chi se ne frega.
CINQUE: perché la caratteristica fondamentale della scuola oggi è il suo essere apparato?
Un apparato che non cambia e non danneggia nessuno che abbia una qualsiasi voce in capitolo costa poco e può essere usato in qualsiasi momento come merce di scambio, leva o minaccia.
Rinunciarvi significherebbe avere un’Italia migliore tra… quanto? Venti, trent’anni? Signori, siamo onesti: l’età media della classe dirigente italiana è ben sopra i cinquant’anni: tra trent’anni potrebbero non essere neanche vivi e nel frattempo rinuncerebbero a uno strumento utilissimo.
Quindi la scuola oggi è un apparato perché chi la popola, le e gli studenti, non ha voce in capitolo.
Perché non votano, per esempio (visto che il voto è lo strumento più facilmente accessibile e più facilmente concedibile per dare potere a una persona). E attenzione: avere voce in capitolo nella scuola non significa averlo solo nella scuola, perché la scuola è un elemento centrale nella vita di una nazione (ci sto per arrivare).
Perché se anche facessero delle proposte, verrebbero ignoratɛ, perché far funzionare bene la scuola significherebbe mettere la sua missione (cioè la formazione di cittadinɛ preparatɛ, sanɛ e serenɛ) al centro di tutto, ma proprio tutto.
Al centro del sistema produttivo, di quello normativo, di quello sanitario, di quello fiscale. Della sicurezza. Dei trasporti. Dell’ambiente.
Se riformassimo la scuola in modo da focalizzarla sulla sua missione, come cambierebbe il sistema produttivo? Come cambierebbe il mondo del lavoro se si dovesse adeguare ai (nuovi) ritmi della scuola? Come cambierebbe se i tempi della scuola e quelli del mondo del lavoro dovessero essere coordinati, se finalmente fosse il cane ad agitare la coda e non il contrario? Come uscirebbero scuole e SSN dopo un rito della danza Metamor?
Cosa succederebbe al paese e alle forze dell’ordine se queste e la scuola iniziassero a dialogare? (Adesso non c’è dialogo: le forze dell’ordine dicono e la scuola ascolta. Ma, ecco, che bella riflessione ne uscirebbe se invece ci fosse dialogo).
Cosa succederebbe alle famiglie se i politici dovessero interagire con degli ascoltatori che non ne condividono l’età?
Ma per farlo sarebbe necessario interloquire alla pari con queste persone.
Fatica, in cambio di un futuro migliore che forse non vedremo mai.
Qualcuno ha detto “meglio l’uovo oggi”?
POSCRITTO
Dopo cinque domande perché a me viene sempre da chiedermi: “E quindi?”
Ecco due risposte al volo:
- e quindi sono eroi ed eroine coloro che nel mondo della scuola riescono ancora a impegnarsi per realizzare una scuola e, quindi, un mondo migliore (conosco alcunɛ di voi e so benissimo che ne avete anche un ritorno, perché in una scuola che funziona meglio vivete meglio pure voi, ma rimane vero quel che ho scritto fuori da queste parentesi);
- e quindi muoviamoci: è pieno di minorenni che se avessero una voce con cui farsi sentire potrebbero esprimere idee meravigliose. Diamo il voto anche a loro, perché così pensino a rendere il mondo un posto migliore e il futuro un tempo migliore e io possa giocare alla switch senza concorrenti.