Il mercato dei mobile games

(una rassegna storica e una riflessione didattica)

Adri Allora
15 min readAug 14, 2022

Poiché ormai è chiaro perché è importante videogiocare, e visto che abbiamo visto un pezzo della storia dell’hardware, passiamo al software.

Preistoria dei mobile games

Il primo videogioco per cellulari risale al 1994 (presentato in via ufficiale nel 1993) e si chiamava Scramble (un Gioco del Quindici digitale). Scramble era preinstallato su un cellulare della IBM, il Simon Personal Communication, che aveva tra le proprie funzioni anche quella di FAX.

Dopo la già citata versione di Tetris per Siemens, nello stesso anno viene rilasciata anche una versione con il nome ufficiale per una piccola azienda di telefonia mobile danese, Hagenuk (il nome del modello è l’MT-2000).

Snake compare l’anno successivo, il 1995, sui Nokia 5110. Monocromo e a 2 dimensioni.

Sìiiii, dimmi che te lo ricordi anche tu!

Nel 2003 Nokia lancia N-Gage, il primo cellulare orientato al videogaming, che usava schede di memoria, da inserire sotto la scocca posteriore a fianco alla batteria come una SIM, sulla falsariga dell’Atari Lynx e poi ereditate come concetto dalla PSP… quanto abbiamo desiderato l’N-Gage… io mi ricordo ancora la pubblicità:

E pure tu, dopo averla (ri)vista qui.

Si prepara il terreno

È ancora Apple (in America, come si è visto in Giappone le cose si erano già mosse in quella direzione alcuni anni prima ma non erano uscite dai confini nazionali) a segnare le tappe: nel 2005 esce l’iPod di quinta generazione, che ha un video, si può collegare alla televisione[2] ed è pensato per eseguire video podcast disponibili sull’iTunes Store, dalla fine del 2006 i video eseguibili sono comuni video con una risoluzione 640x480 disponibili in vendita sullo store di Apple[3].

Il passaggio è veloce: nel 2007 viene messa in commercio la prima versione di iPhone e nel 2008, tramite un aggiornamento di iTunes, diventa pubblico l’App Store. Ma Apple non è l’unica interessata a questo mercato: Google mette a disposizione Android nel 2008 e poco dopo Google Play, con il quale diventa in breve il primo grande operatore (nel 2012 festeggerà i 25 miliardi di app scaricate, ma nel frattempo sarà iniziata la crociata di Apple contro Android… quella è un’altra storia).

Rintracciare in questo momento storico il primo mobile game a comparire in un app store è forse impossibile, visto che lo store fu presentato con un corredo di applicazioni fin dal l’inizio piuttosto vasto, e certo è inutile.

Una rassegna arbitraria

Il primo mobile game di successo planetario è stato Angry Birds (2009), il cinquantaduesimo gioco sviluppato dalla compagnia finlandese Rovio Entertainment (ispirato come gameplay al flash game[4] Crush the Castle, pubblicato all’inizio di quello stesso anno da Armor Games, ispirata a propria volta da Castle Clout, un gioco di Liam Bowmers del 2008).

Eh. Courtesy Google. Questo è il nonno di Angry Birds, per essere chiarɛ.

In Angry Birds troviamo tutte le caratteristiche dei grandi successi del mobile gaming:

  • un gameplay[5] innovativo e al tempo stesso capace di capace di richiamare qualcosa di già visto: grazie a grosse e rudimentali fionde (già visto, nel mondo reale), sfruttando le potenzialità del touch screen (nuovo) il giocatore lancia volatili dai diversi effetti (uccelli esplosivi, che si moltiplicano, a scoppio ritardato… una specializzazione che ricorda Lemmings, sviluppato nel 1991 da DMA Design) contro delle strutture semplici in alcuni casi in precario equilibrio (e anche questo sta nel vissuto nel mondo fisico di tanti giocatori e giocatrici);
  • un design accattivante, sia dei personaggi (i maiali verdi, gli uccelli arrabbiati) che nelle strutture e negli ambienti, al servizio di una storia semplice;
  • una curva di apprendimento non ripida che permette una formazione implicita (tecnicamente si tratta di minimizzare il carico cognitivo intrinseco).

Il secondo grande successo, Plants vs. Zombies, prodotto da Pop Cap Games, nasce nel 2009 per Windows e OSX prima di essere portato l’anno successivo su dispositivi mobili. È un tower defense game[6] in cui il giocatore usa delle piante speciali per difendere la propria casa da un’invasione zombie: piante sparapiselli, ciliege esplosive, girasoli che raccolgono luce solare per piantare altre piante e molti altri tipi di combattivi vegetali definiscono un’ambientazione leggera e colorata che funge da contraltare all’effetto di assedio e invasione lungo le cinque fasce da cui arrivano gli avversari controllati dal software (ci sono quindi elementi strategici, ma non è un gioco difficile). Originariamente gli zombie erano alieni di Insaniquarium un altro gioco sviluppato dalla stessa Pop Cap nel 2002 per Windows.

Eppure ho sempre trovato insensato il fatto di avere semi in cambio di soli…

Plants vs. Zombies strizza l’occhio con più di una citazione agli utenti che condividono aspetti della sottocultura nerd: certi elementi grafici ricalcano le carte del gioco Magic, al tempo giocato dalla fidanzata dell’autore George Fan[8]; citazioni dai Monty Python (nelle iscrizioni sulle lapidi) e nei nomi degli oggetti (i vasi Scary Potter e i tagliaerba “Lawn of the dead” che rievocano “Dawn of the dead” di Romero), dei livelli (“I, Zombie” — sulla falsariga del romanzo di Asimov “I, Robot” — e Dead Zeppelin come… cazzarola, devo veramente spiegartelo?) e dei mostri (lo zombie danzante vestito come il Michael Jackson di “Thriller”, poi rimosso).

Fruit ninja, prodotto da Half Brick, e Cut the rope, sviluppato da Zeptolab, mostrano nel 2010 le potenzialità del touch screen: che si debba tagliare della frutta lanciata in aria con gesti del dito o tagliare dei fili che permettano di far arrivare nella bocca del mostriciattolo Om Nom dei dolci, il gesto regna sovrano[9]. Quindi ancora un gameplay nuovo e intuitivo, un design accattivante e una curva di apprendimento dolce, pensata per non spaventare chi vuole farsi una partitina in attesa del treno o dell’autobus.

Questo lo trovavo mortalmente noioso, ma solo dopo averlo provato per ore…

Temple run, successo del 2011 di Imangi studios, è un gioco di corsa senza fine[10], comandato dagli swipe sullo schermo; la tendenza alla semplificazione nell’ergonomia si farà in questo tipo di giochi sempre più accentuata, se titoli come Bacon Escape (Illusion Labs, 2015) o Rider (Chimpworks, 2017) concentrano tutto il controllo del movimento nella pressione adirezionale del dito sullo schermo. Temple Run, forte di un’estetica che strizzava l’occhio ad Indiana Jones (corsa attraverso le rovine di un tempio azteco, inseguiti però da scimmie demoniache[11]), ha avuto un successo enorme: nel 2014 era stato scaricato più di un miliardo di volte, la versione per Android era stata scaricata un milione di volte nei primi tre giorni dopo il primo rilascio ma soprattutto, non è un elemento da sottovalutare per le implicazioni che ha nella percezione del mobile gaming, questo prodotto, sviluppato in soli quattro mesi per recuperare un fallimento commerciale come Max Adventure, ha prodotto un mucchio di cloni, alcuni con la collaborazione dei produttori originali (le versioni ambientate nei mondi di Brave e Oz, con la collaborazione di Disney) altri frutto di semplice copia (Temple Guns, Temple Jump, Piggy Run, Zombie Run, Pyramid Run).

Preferivo la ragazza, poi ho capito perché.

Il 2012 vede la nascita di un gioco che ha imperversato negli anni successivi, il cui meccanismo di raggruppamento sul piano di gioco di elementi analoghi (non originale) ha prodotto decine di cloni più o meno velati: Candy Crush Saga.

Mai amato. Ma tu sì, vero?

L’azienda che l’ha sviluppata si chiama King, è stata fondata nel 2003 in Svezia da un uomo d’affari italiano, Riccardo Zacconi, che prima aveva co-fondato il sito per incontri uDate.com e si era lanciato sul mercato dei browser games[12] con un proprio portale, midasplayer.com. Nel 2009, dopo oltre 200 giochi sviluppati e il cambiamento di nome, la King.com[13] decide di rivolgersi ai giochi per Facebook: il loro primo gioco multipiattaforma Facebook/midasplayer si chiama Miner Speed ed è ispirato da Bejeweled (un altro social network game, sviluppato da Pop Cap, quelli di Plants vs Zombies). Nel 2009 rilasciano Bubble Witch Saga, che avvia la saga dei giochi il cui nome finisce con la parola saga ma anche un’idea interessante e, per quei tempi e per quella piattaforma, innovativa: invece di far giocare finché si riesce (come accadeva per esempio in Farmville — 2009, Zynga), Bubble Witch Saga atomizza il percorso in episodi in modo da permettere la parcellizzazione del tempo di gioco.

Combinato con la natura asincrona del gioco strategico, in cui fare la mossa ora o dopo che il controllore ha verificato il possesso del biglietto in tram non comporta alcuna differenza, ci troviamo di fronte all’uovo di Colombo dell’ergonomia cognitiva: gioco on demand a piccolissime dosi che possono essere fruite negli interstizi di tempo o binge-played, eventualmente con qualche aiutino a pagamento. E infatti conquista soprattutto quei casual gamers che diventano sempre più disposti a spendere e quindi importanti per i produttori.

La storia dell’azienda che l’ha prodotto la dice lunga sull’attenzione per le strategie commerciali: fare una partita mentre si è in coda alla posta è facile, la grafica è colorata e accattivante, il gameplay semplice e fornisce anche un’illusione di profondità strategica, il gioco è gratis e per comprare facilitazioni di vario ordine si spendono pochi dollari. Il risultato non è scontato, ma a posteriori non dovrebbe sorprendere: al picco del della sua notorietà, King guadagna un milione di dollari al giorno per quegli aiutini.

Nello stesso anno esce per opera di MAG Interactive Rumble, poi ribattezzato Ruzzle: in due minuti, su una plancia di 4x4 lettere, il giocatore deve disegnare percorsi che unendo le lettere creino parole e gli permettano di guadagnare più punti possibili. A parte la velleità linguistica, un grande contributo di Ruzzle è stato quello di diffondere una certa idea di sfida online, che lo porterà, da un piccolo villaggio vicino a New Orleans dove il primo nucleo di che l’ha fatto diventare una moda, a diventare nel 2013 la prima hit dell’anno[14], con 10 milioni di giocatori attivi da 128 paesi. Una grafica accattivante ma non eccessiva, un’idea nuova (la creazione di percorsi tra le lettere) e già vista (è ispirato ai giochi da tavolo Scrabble e Boggle — rispettivamente Scarabeo, di cui prende i punteggi delle lettere, e Il Paroliere, di cui prende il numero ristretto delle lettere e alcuni elementi grafici), e la sfida.

Io qui ci avrei visto prima PINTA, ma vabbè.

Si potrebbe ancora parlare dell’uccellino che vola con una certa difficoltà attraverso le colonne verdi di Flappy Bird (2013, dotGears), un gioco contestato (accusato di plagio per la grafica, criticato per l’eccessiva difficoltà e rimosso dagli app store perché si riteneva creasse dipendenza e uso eccessivo) e per gli stessi motivi premiato dal mercato (il suo creatore, Dong Nguyen ha dichiarato di aver guadagnato 50mila dollari al giorno dalla pubblicità poco prima di ritirarlo); ma questa è solo una carrellata attraverso la storia dei mobile games che serve a individuare elementi comuni parzialmente esterni all’oggetto videoludico (l’interazione tra le caratteristiche commerciali del gioco) e interni, come la grafica, il gameplay, la curva di apprendimento.

Una divagazione sul gameplay

Un elemento curioso del gameplay di alcuni videogame è la natura essenzialmente astratta dell’esperienza ludica, che si fa evidente quando è potenzialmente infinita: un percorso come quello di Temple Run è generato da un software[15], senza l’intervento di un designer, e per questo può continuare per sempre, non si riproduce mai uguale e relega la progressione della curva di apprendimento alla subordinazione a poche routine che, per esempio, regolano la frequenza degli ostacoli. Esiste un fascino anche nelle battaglie che non possono essere vinte, come dimostrano Tetris e i numerosi cloni di 2048 che non si fermano quando si raggiunge il risultato che dà il titolo al gioco.

Sì, a pensarci adesso è incredibile che fossi(mo) tanto appassionatɛ a questo gioco…

2048 è stato scritto come browser game in un fine settimana dal diciannovenne Gabriele Cirulli giusto per vedere se riusciva a creare un gioco da zero, ed è stato piuttosto sorpreso quando ha ricevuto in meno di una settimana 4 milioni di visite. Poiché per ammissione dello stesso autore, è un clone del gioco 1024 dei Veewo Studios e non c’era l’intenzione di fare profitto da qualcosa che non aveva inventato, ha rilasciato l’app free nel 2014.

Lo scopo del gioco è raggiungere 2048 punti prima che la griglia di 4x4 caselle si riempia: ad ogni mossa in una delle caselle compare una potenza di 2, facendo scorrere tutte le caselle in una direzione con uno swipe, se due caselle riportano lo stesso numero si semplificano: una si svuota e l’altra riporta il prodotto dei numeri precedenti. Un giochino appagante, che offriva la giusta dose di sfida intellettuale per il casual gamer (a conti fatti il vero gioco non era raggiungere il punteggio ma capire il comportamento che avrebbe permesso di raggiungerlo in ogni successiva partita), astratto all’estremo, che ha generato un piccolo esercito di cloni identici se non per il nome e il logo dell’autore[16].

Il segno di una evoluzione

Gli ultimi tre giochi presi in considerazione sono prodotti della stessa casa, Supercell: in Clash of Clans, 2012, viene chiesto al giocatore di costruire un villaggio, difenderlo e farlo crescere, anche con missioni di conquista ai danni dei villaggi degli altri giocatori; in Clash Royale, del 2016, ambientato nello stesso universo finzionale del precedente, si gioca invece a un misto tra gioco di carte, tower defense, scacchi: una sfida uno contro uno in un campo rettangolare tagliato in due da un fiume, con due ponti e tre torri per giocatore: a seconda del mazzo di armate a disposizione si lanciano attacchi e difese allo scopo di preservare le proprie torri e distruggere le altre. La perdita a livello strategico e l’aumento di complessità a livello tattico diventa palpabile con Brawl Star (2018).

Ormai siamo nel campo degli shoot’em all.

Supercell, focalizzata su giochi gratis che generano acquisti in app secondo il modello che avrebbe reso la Epic Games di Fortnite un colosso con revenue extra-games senza precedenti, aveva smesso di sviluppare giochi per Facebook intimidita dall’insormontabile leadership di Zynga in quel settore, ma aveva prodotto come primo gioco per il mercato delle app Hay Day, una versione modificata di uno dei successi proprio di Zynga, Farmville. La possibilità di raffinare i prodotti, le catene produttive e gli aspetti sociali del gioco avevano reso Hay Day uno dei giochi più profittevoli del mercato statunitense in soli quattro mesi.

Hay day l’ho sempre trovato… non so, inutilmente laccato.

Nel 2012, dicevo, dopo sei mesi di sviluppo, Supercell pubblica Clash of Clans che, secondo App Annie, tra il 2013 e il 2014 è la più redditizia app di giochi al mondo. Sedici mesi di sviluppo richiede invece Brawl Star, uno sparatutto con diverse modalità di gioco (da quella in cui bisogna ottenere 10 gemme prima dell’avversario, a cui si può sparare, a una Battle Royale in cui bisogna essere l’ultimo giocatore vivo alla fine della partita), ispirato a giochi multigiocatori come Overwatch (2016, Blizzard, ma si tratta di un gioco per console, non un mobile game) o League of Legends (2009, Riot Games, per computer). Un successo anche in questo caso, visto che il gioco totalizza 63 milioni di dollari nel primo mese di vendita[17].

A che gioco giochiamo

Se lo scopo di questa rassegna fosse definire la storia dei mobile games, peccherebbe di numerose lacune: sono rimaste fuori categorie intere di giochi (per esempio i quiz games, da QuizDuello — 2012, FEO Media — in poi e i videogiochi in realtà aumentata geolocalizzata come Ingress — 2013, Niantic — o Pokemon Go — 2016, sempre di Niantic) e ignora tutta la storia dei videogiochi per pc o console che si intreccia a quella dei mobile games (quattro nomi tra tutti: Minecraft — 2009, Mojang — ; Fifa Mobile — 2016, Electronic Arts; Real Racing — 2013, Firemonkeys Studios; Fortnite — 2017, Epic Games).

Il mio scopo era invece individuare, pur nella varietà che si dipana lungo un decennio di creatività, alcuni elementi comuni di una selezione di giochi di grandissima diffusione non solo in termini di numero di download ma anche di fatturato, numero di giocatori effettivi, presenza di copie ed emulazioni.

Alcuni elementi sono quelli visti in apertura di paragrafo a proposito di Angry Birds:

  • un gameplay innovativo;
  • qualcosa nel gioco di già visto (può essere nell’universo finzionale di riferimento — Indiana Jones o i ninja — o nel gameplay — Paroliere, fionda e bersagli);
  • un design accattivante e colorato che rimarchi l’informalità dell’esperienza di gioco;
  • una curva di apprendimento dolce che permetta di evitare manuali di istruzioni;
  • sessioni di gioco brevi;
  • elementi sociali di sfida;
  • un limitato carico cognitivo.

Queste caratteristiche costituiscono un insieme di somiglianze di famiglia di wittgensteiniana memoria, ma sono definitorie almeno in negativo: nessun grande successo videoludico ha una curva di apprendimento ripida e anche un gameplay scontato, o un design e quindi un’ergonomia tradizionali e anche sessioni di gioco molto lunghe.

Queste caratteristiche ci forniscono anche informazioni su chi usa questi prodotti: persone per le quali il videogioco è un’esperienza interstiziale, un momento di relax più che una sfida, la cui disponibilità alla spesa è commisurata al tipo di impegno (basso, ma ripetuto), che preferiscono imparare facendo (magari più lentamente) che leggere istruzioni.

Quello che io trovo molto interessante è esattamente il discorso didattico, perché i software che abbiamo progettato in Maieutical Labs hanno esattamente quelle caratteristiche (eccetto il design che rimarchi l’informalità perché fa troppo scuole elementali e gli elementi sociali e di sfida, ma è chiaro: in ambiente scolastico non si favorisce, e a ragione, la competitività tra studenti), anche se lɛ nostrɛ utenti non hanno le stesse caratteristiche di quellɛ dei mobile games… oppure no?

Ragionando sulle trasformazioni che sta subendo la società nel complesso, ho iniziato a domandarmi se anche la figura del o della discente debba essere ripensata e se, per assurdo?, la didattica possa essere pensata come un’attività interstiziale all’interno di un quadro culturale più ampio. Quanto è già stato demandato della formazione e all’informazione di giovani e adultɛ ai social network, per esempio? I libri, croce e delizia della scuola italiana, sono ancora gli strumenti ottimali per la trasmissione del sapere? Di ogni sapere? E, soprattutto, la Scuola comunica abbastanza con il Mondo?

Per riflettere sulla comunicazione tra Scuola e Mondo (qui l’originale).

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[2] Ovviamente attraverso uno dei costosi-senza-reale-motivo cavi di Apple.

[3] Potremmo dire che è nel suo patrimonio genetico, visto che il primo app store, Electronic AppWrapper, rilasciato nel 1991 era stato scritto per sistemi NeXT, e la Next era sta fondata nel 1985 dalla Apple. Tra l’altro, una macchina NeXT sarebbe stata usata da Tim-Berners Lee nel 1990 per creare il primo web server (la storia è raccontata nel libro gratuitamente accessibile online “Roads and crossroads of internet history”, di Gregory Gromonov).

[4] I flash games erano giochi sviluppati con tecnologia Macromedia Flash (e linguaggio di programmazione Actionscript). Alla fine degli anni novanta del secolo scorso si pensava che Flash avrebbe cambiato il destino dell’animazione e del videogaming, soprattutto con la versione 5 e la MX del programma; le gravi carenze in fatto di sicurezza causarono la messa al bando da parte di Apple e la progressiva marginalizzazione di questa tecnologia. Peccato, è stato bello sognare.

[5] Il gameplay (letteralmente giocare il gioco) è il modo in cui l’utente umano interagisce con il gioco, l’ergonomia del gioco.

[6] I Tower Defense sono giochi strategici in cui bisogna costruire torri che sparano automaticamente contro avversari in arrivo; la componente strategica dei TD consiste nel posizionare nei posti giusti i tipi giusti di torri difensive.

[8] Per gli amanti del gossip, la stessa Laura Shigihara che ha scritto musiche per World of Warcraft, Minecraft, To the moon, Super Meat Boy e che ha creato il gioco di ruolo indie Rakuen.

[9] Indicativo, forse, il fatto che la conversione transmediale verso il gioco da tavola di Cut the rope non preveda il taglio di alcuna corda: anche se lo scopo rimane il rifornire di caramelle il mostriciattolo verde, i produttori hanno deciso di continuare a sfruttare il titolo al costo di una significativa perdita di senso.

[10] Quell’anno è stato particolarmente fortunato per i giochi di corsa senza fine, se nello stesso anno è uscito anche Jetpack Joyride (2011, Halfbrick Studios).

[11] Scimmie demoniache che terrorizzavano una dei designer del gioco, ma che poi furono lasciate per rendere più emozionante la corsa. Non si tratta dell’unico elemento dibattuto: si temeva che le gemme che si raccolgono durante la partita risultassero frustranti per i giocatori, ma piacevano al team e furono aggiunte poco prima della pubblicazione. All’inizio il gioco prevedeva che il protagonista dovesse essere reso rotando l’ambiente con una prospettiva dall’alto, ma questo causava problemi nel testing, quindi il punto di vista dell’utente venne fissato alle spalle del personaggio sullo schermo e le svolte furono vincolate ai novanta gradi. Un dettaglio che tuttɛ lɛ giocatorɛ sui quarant’anni che ricordavano bene il telefilm “Automan” hanno sempre trovato molto divertente.

[12] Nella storia dei videogiochi i browser games (che possono essere giocati nella finestra del browser e che sfruttano tecnologie standard nei browser) rappresentano un passo importante per due motivi: propongono un modello commerciale nuovo per il videogaming (comune invece nelle televisioni commerciali: paghi non con il denaro ma subendo la pubblicità) e aprono le parte a un considerevole numero di programmatorɛ indipendenti che senza etichetta e senza grandi investimenti alle spalle riescono ad autoprodursi.

[13] Perderà il .com dal nome nel 2013.

[14] Da un articolo di Todd Wasserman del 09/01/2013 su Mashable, il terzo blog più popolare al mondo secondo Technorati (il motore di ricerca dedicato ai blog). Da settembre 2019 esiste anche una versione italiana di Mashable.

[15] E non solo il percorso, ma anche lo scenario che gli fa da sfondo: in prodotti come Alto’s Adventure (2015, Snowman), i paesaggi generati proceduralmente possono essere mozzafiato.

[16] E che ha continuato a generare variazioni sul tema: Veewo Games, titolare della fonte primaria di 2048, nel 2016 hanno rilasciato Just Get 10 che lavora in maniera più fine sulla scacchiera e che conta invece di raddoppiare ma che ha molto in comune con l’originario 1024.

[17] Articolo di Vincent Brittany, su Variety di Gennaio 2019.

E bon, lo sai che mi piace premiare chi va fino in fondo. Questa foto è stata scatta nell’agosto del 1969, poco prima che quell’altra, insieme a uno dei loro LP più incredibili, entrasse nella storia della musica. (Hai notato che Paul ha le ciabatte?)

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Adri Allora

Linguist, entrepreneur (co-founder of Maieutical Labs), curious. I’m here on Medium mostly to learn, even when I write something.